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Aggiornato: 10 giugno 2025
Allora non si fida di me. Una sera, la sera del trasporto della Giulia, entrai a parlarle della sua cognata e di quello che lei doveva patire in casa. Non parlavo per curiosit
È tempo di finirla! aveva gridato Michele, proprio la sera innanzi, in quella che stava in cucina a rigovernare il vasellame da tavola, e non s'era addato della presenza della padroncina che passava lì presso. Che cosa? aveva chiesto Maria, fermandosi sull'uscio. Nulla, signorina. Parlavo da solo come fanno i matti. Non avete detto che è tempo di finirla? Ah sì, certo, gli è tempo.
In quanto all'esempio del soldato, gli risposi che chi aveva la testa rotta era autorizzato a passare agli invalidi, e che in quanto al coraggio, ce ne voleva talvolta di più per sostenere una ritirata che per tornare alla lotta. Io parlavo per esperienza, non potendo vantare nella mia vita una sola vittoria, ma molte sconfitte.
Ma che lui! mi gridò egli stizzito. Ti parlavo di lei. Ah sì, è vero; rimediai alla meglio. È stato un lapsus linguae. Torniamo alla signorina Wilson, che mi aveva lasciato dire a mia posta, e poi soggiunse, con accento malinconico: Il burattinaio ha fatto capolino tre volte dalla sua tenda, cercando con gli occhi in giro nel suo uditorio.
Io parlavo coll'eloquenza della convinzione, che è pure la chiave del successo. E nondimeno ella si aggrappava sempre più alla sua strana teoria, ed io non potei rimovernela d'un punto. L'entusiasmo con cui dipingeva il suo episodio tempestoso, mi faceva sentire sempre più, non per me, ma per l'amico mio, che certo amava Fulvia, il bisogno che quell'amore fosse durevole.
Ero come pazzo, m'inginocchiavo a ridere e piangere, balzavo in piedi a pregare, sentendo Iddio infinito e me niente, stendevo dalle finestre le braccia verso il nero scoglio sovrano battuto dai lampi, gli dicevo con trionfante gioia di volermi bene ancora perchè ne tornavo degno. Parlavo così a voce alta e poi ridevo di me stesso, ridevo di esaltarmi per una persona di cui non conoscevo ancora il viso; ma era un ridere felice, pieno di fede, senza la menoma ironia. «There is hope, there is hope» ripetevo «vi è speranza.» E poi mi coprivo il viso colle mani, pensavo; e lei? e lei? Chi sa se aspetti anche lei, chi sa se abbia avuto sogni, presentimenti? Che viso, che nome avr
Non parlavo di me. Si capisce. Se tu credi ch'io non mi disprezzi! E io! Ma non mi sono fatto da me, quello che sono. Puoi rifarti. Non so volere. Appoggiati a qualcheduno che voglia in tua vece. A te, per esempio? Io so infatti. Non c'intendiamo. A tua sorella. A Nennele? Tu hai tanta stima di Nennele? Credo di sì. Curiosa! Molta stima e molta piet
Che c'è? disse il Passano, levando la fronte dai suoi scartafacci. Niente, niente; parlavo a mia moglie. Mia moglie! ripetè il capitano Fiesco. Ecco due strane parole. Sapete, Giovanni mio, che non so avvezzarmi a questo nome? e che mi par sempre un sogno? Restate nel sogno; rispose quell'altro. Certamente, certamente, poichè il sogno è così dolce!
Ma io lo desidero, con tutte le forze dell'anima. Lo credo, lo credo; rispose il medico, tornando prontamente verso l'alcova. Parlavo d'altro, io; dicevo di voler provare un nuovo rimedio, per calmare la febbre. Ma la visita del gran consolatore si può ricevere ad ogni ora; e sia domani, o doman l'altro, come Vostra Eccellenza vorr
È il dono di un primo protettore, e non fa che andare e tornare dalle valigie della signora alla ribalta, e dalla ribalta alle valigie. Che supposizione! esclamò la signora Mary. Non vi vergognate? Qui poi non è il caso. Signora, parlavo sui generali; rispose il Don Marzio che aveva sofisticato a quel modo.
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