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Aggiornato: 22 giugno 2025
Da poche mani congiurate i fochi Erano stati per le soglie accesi, E poche fur le labbra che dapprima Spargere osaro il grido abbominoso. Ma frenesìa nel popolo s'appiglia, E ratto si moltiplica il pensiero, Esser Tommaso un barbaro oppressore Abborrito dal ciel. Lui benedetto Asseriscon invan con generosa Gara i ministri delle chiese e i sempre Pacificanti Francescani e il colto Stuol di color, che stretti avea la legge Di Domenico santo all'esercizio De' forti studi e della pia parola. Benefiche potenze eran que' frati Sullo spirto de' popoli, e sovente, In tai secoli d'impeti e di sangue, Ma di gagliarda fè, coi gonfaloni Di Francesco e Domenico a feroci Animi imponean calma e pentimento. Ma spuntano ai viventi ore talvolta Di contagiosa irrefrenabil rabbia, E sotto ore sì infauste debaccava Del Saluzzese popolo assai parte. Dal di fuori frattanto a que' momenti Ecco irromper l'assalto! ecco le mura Scalate, superate! ecco Tommaso Astretto a ceder le abitate vie, A salir frettoloso all'alta rocca A lui ricovro ed a' suoi cari estremo! Non eccelsa metropoli prostrata Da infinite falangi era Saluzzo, Nè i suoi dolori fur soggetto a carmi Di stupefatte illustri nazïoni, Ma fur sommi dolori! E li divise Quel Iacopo da Fia, che vergò in forti Carte la istoria del tremendo eccidio. Ah, inorridisco in leggerle, e m'ispiro Io tardo trovadore al mesto canto! La fella di Manfredo anima irosa Crucciavan nuovi aneliti a vendetta, Perocchè a' piedi suoi sotto le mura Fracassati da travi e da macigni Dianzi veduto alcuni cari avea, E fra loro un fratello, il più diletto De' prodi e truci due degni fratelli. In ogni vinto armato cittadino, Ed anco negl'inermi e ne' vegliardi, E nelle donne stesse il furibondo Immaginava la nemica destra Ch'orbo l'avea di quel fratello, e tutti Ei sterminati indi li avrìa. Frenava Il proprio acciar, ma non frenava quelli Della brïaca moltitudin varia Ivi con esso a imperversar prorotta. Rifugge l'estro mio dalla pittura Degl'inauditi singolari strazi Che segnal
O bell'arte de' carmi! Onde l'amore, Il dolcissimo amor, che sin dagli anni D'adolescenza io ti portava, e afflitto Da lunghi disinganni anco ti porto? Non per la melodìa, misterïosa Sol de' söavi accenti, e non per l'aura. Degli applausi sonanti entro le sale De' colti ingegni, e non per la più cara. Delle lodi, la lagrima e il sorriso Delle donne gentili. Innamorato, O bell'arte de' carmi, hai la mia mente Colle nobili istorie. Il tuo incantesmo È per me la parola alta e pittrice De' secreti dell'anima, ed un misto Di semplice e di grande e di pietoso, Che nessun'altra bella arte con tanta Efficacia produce. A te ne' voli, Cui fantasìa ti trae, tutte concede Sue grazie il vero; e tu, se Poesia Inclita sei, quella ond'amante io vivo, Tutte del ver serbi le grazie, e ornarle Sai di delicatissimo splendore Che non punto le offende e non le muta, E pur le fa per molti occhi più dive, Più affascinanti l'intelletto. Incede Senza carmi e con leggi altre men gravi Più scioltamente un narrator, siccome Senza cinto la vergine; ma il cinto Converte la vaghezza in eleganza. Suoni sull'arpa mia, suoni la lode Delle forti sull'uom dolci potenze, Onde il femmineo cor va glorïoso; E mia cantica dica oggi le pompe Del Parlamento di Verona, e quale D'un magnanimo vate era il periglio, E più il periglio d'un illustre oppresso Se vergin trovadrice alla crucciata Alma d'un generoso imperadore Pacificanti melodìe opportune Dal mite e saggio cor non effondea. Quando Italia ordinar, lacera in mille Avversanti poteri, ebbe promesso. Il rege Ottone, e di Verona al circo Chiamò l'alta adunanza, ove concorse; Ogni baron d'elmo o di mitra ornato, Ch'oltre o di qua dell'alpi avesse nome, Immensa moltitudin coronava Sull'anfiteatrale ampia scalea La vasta piazza, in mezzo a cui d'Augusto La maest
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