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Aggiornato: 25 maggio 2025
Stavano all’incontro pe’ Neri molti de’ popolani con a capo Corso Donati; i Frescobaldi, i Pazzi, i della Tosa. Questo rinnovarsi dell’antica lotta, benchè per breve, ma più violenta, non però fece sì che le sette, invocando i simboli di parte del papa o dell’imperatore, parteggiassero con loro e per loro. I nuovi nomi non furono che una parola d’ordine, cui rispondevano per ravvisarsi le famiglie nemiche. Si accostavano di preferenza a quella fazione d’onde speravano maggior beneficio, o temevano minor danno. Infine, per avervi man forte a schiacciar l’avverso partito escludendolo dagli onori e dai beni della repubblica per ottenerli essi stessi. E infatti, per l’assenza dall’Italia e per l’abbandono dell’imperatore, i Guelfi, non più come un tempo popolari tutti, ma parte ora aristocratici, riuscirono in ultimo a prevalere. E ciò perchè aiutati da papa Bonifacio che da Roma potentemente li favoriva, tanto da mandare un venturiero di Francia a capitanarli, e a far quel gran male che poi diremo. E soprastarono anche per altra ragione. Perchè gli Spini di Firenze che eran banchieri del papa e altri aderenti Neri, allora siccome sempre, nel temporale governo lo circuivano, e volentieri per loro utile lo secondavano. Si ebbe un bel chiedere a Bonifazio s’interponesse a concordia: quella sua indole violenta all’uffizio di paciere non s’affaceva gran fatto. Nondimeno inviò a tal uopo a Firenze il cardinal d’Acquasparta. Inutilmente però. I Bianchi avevan gi
Era un dovere per lui, in quel caso, di mettersi in mezzo e far da paciere. E si arrabbiava con Maria perchè non lo secondava con bastante calore; ma la duchessa sospettava intorno la verit
Dei maneggi politici che i faccendieri del re millantavano coll'Inghilterra, i documenti non hanno indizio. Ma l'Austria, forse da principio, sinceramente atterrita com'era dalle proprie condizioni interne ed esterne, più dopo con intenzione visibile di guadagnar tempo, tentò più volte il gabinetto inglese perchè si facesse mediatore e paciere fra l'insurrezione e l'impero.
Grati noi per altro al paciere torinese pel lodo od arbitrato con cui trasse a fine le discordie letterarie, lo preghiamo di accettare, secondo che si usa in tali casi, come pagamento della sentenza, o, se piú gli piace, come regalo, senza obbligo di sborsare mancia veruna allo staffiere che glielo presenta in nome nostro, le quattro seguenti notizie letterarie, delle quali, quantunque vecchiette, abbiamo veduto nella Romanticomachia essere egli ignaro affatto.
Se non che l'Omobono, il quale continuava a fare il paciere, rimestando, con gesti d'orrore, la storia di quel ch'era stato, punto forse dalla brama di veder più presto messo in muda Damiano, profferse generosamente la vettura da lui noleggiata, che stava aspettando, a pochi passi dall'osteria.
Qui sarebbe luogo a parlare della brutta ingratitudine di lui contro Venezia lasciata in asso mentre più pericolava, ma ne porgeremo esempio supremamente scellerato nel caso del duca di Urbino; piuttosto ora accennerò la fede pessima con la quale egli ingannava amici, ed avversari con eleganti ribalderie, e vanto infelice, però che sovente fosse sentito dire: «che quando si era fatto lega con uno non per questo si doveva rimanere di trattare col principe opposto ». Chiesta ed ottenuta fiducia di paciere egli si mise in mezzo alla Francia, all'Austria, a Venezia, alla Svizzera per accordarle; diverso poi il fatto dalle apparenze, perchè le sobillasse tutte facendo fuoco nell'orcio per avvantaggiare i suoi: sollecitava Luigi XII a calare da capo in Italia mentre sapeva attraversarlo ostacoli non superabili; e mentre che con le nozze di suo fratello Giuliano con Filiberta sorella di Luisa di Savoia madre di Francesco I mostrava attaccarsi alla fortuna di Francia spediva segreto negoziatore Pietro Bembo a Venezia per alienarla dalla Francia, ed accordarsi col re di Spagna, e con lo imperatore: narrata questa una, ci dispensiamo dalle altre perchè uguali tutte non solo nella vita di Lione, bensì di quasi gli universi pontefici.
Il signor Omobono, che teneva aperto lo sportello, gongolava in segreto di gioja, vedendoli andar bellamente in prigione, chè tanto non avrebbe sperato; quand'ecco i due soldati che stavangli dietro, con un urto gagliardo, vollero cacciar dentro lui pure in compagnia degli altri; gridò, tempestò, maledisse, per far loro capire ch'egli non c'entrava, che aveva voluto accomodar la cosa, che non ne sapeva nulla. Non ascoltarono ragioni; e una volta ch'ebbe messo per forza un piede sul predellino, un de' soldati serrandogli un braccio con tal grazia da slogargli una spalla, l'altro ajutandolo con una soda spinta di sotto in su, lo ficcarono nella vettura; e fattolo a forza sedere sul davanti in faccia al Martigny, richiusero lo sportello. Seguitava a gridare, a levar su, a cacciarsi mezzo fuor della portiera il mal capitato paciere, che lo lasciassero scendere, ch'era innocente, ch'era una persona di riguardo, ch'avrebbe dato conto di sè: la gente gli sghignazzava, gli urlava dietro; e il vetturino, a un cenno del gendarme ch'era salito al suo fianco, punse col mozzicone della frusta i due ronzini, che con trotto inusato tornarono verso la citt
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