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Aggiornato: 23 giugno 2025
Allor surse a la vista scoperchiata un’ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s’era in ginocchie levata. Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s’altri era meco; e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, piangendo disse: «Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».
«Prima ch’io de l’abisso mi divella, maestro mio», diss’ io quando fui dritto, «a trarmi d’erro un poco mi favella: ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». Ed elli a me: «Tu imagini ancora d’esser di l
di quel peccato ov’ io mo cader deggio, lunga promessa con l’attender corto ti far
e una spada nuda avëa in mano, che reflettëa i raggi sì ver’ noi, ch’io drizzava spesso il viso in vano. «Dite costinci: che volete voi?», cominciò elli a dire, «ov’ è la scorta? Guardate che ’l venir sù non vi nòi». «Donna del ciel, di queste cose accorta», rispuose ’l mio maestro a lui, «pur dianzi ne disse:
e quivi, per l’orribile soperchio del puzzo che ’l profondo abisso gitta, ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scritta che dicea: ‘Anastasio papa guardo, lo qual trasse Fotin de la via dritta’. «Lo nostro scender conviene esser tardo, sì che s’ausi un poco in prima il senso al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi d’incenerarti sì che più non duri, poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi? Per tutt’ i cerchi de lo ’nferno scuri non vidi spirto in Dio tanto superbo, non quel che cadde a Tebe giù da’ muri. El si fuggì che non parlò più verbo; e io vidi un centauro pien di rabbia venir chiamando: «Ov’ è, ov’ è l’acerbo?».
cotali uscir de la schiera ov’ è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettüoso grido. «O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai piet
E io a lui: «Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego. Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa certo qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio. Lo mondo è ben così tutto diserto d’ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto;
Sangue perfetto, che poi non si beve da l’assetate vene, e si rimane quasi alimento che di mensa leve, prende nel core a tutte membra umane virtute informativa, come quello ch’a farsi quelle per le vene vane. Ancor digesto, scende ov’ è più bello tacer che dire; e quindi poscia geme sovr’ altrui sangue in natural vasello.
E l’ombra che di ciò domandata era, si sdebitò così: «Non so; ma degno ben è che ’l nome di tal valle pèra; ché dal principio suo, ov’ è sì pregno l’alpestro monte ond’ è tronco Peloro, che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno, infin l
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