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Aggiornato: 30 aprile 2025


Perchè non hai fatta accendere la lucerna da veglia? chiesi, tornando a infilare il fiore nell'occhiello. Non ci ho pensato, rispose Lidia. Vuoi accenderla tu? S'io mi fossi alzato, Lidia avrebbe preso il mio posto ed avrei perduta una strategica posizione. Accendila tu! ripetè Lidia. La mia considerazione rapida doveva essere stata fatta anche da Lidia.

Avvicinò il biglietto alla lucerna, ne lesse il nome, e subito il suo volto si fece livido, contraffatto: era il nome di Francesco Parabiano. Andrea di Santasillia non era uomo da sbigottirsi facilmente, e per quanto fosse rimasto colpito e addolorato, non tardò a ragionare e a persuadersi che quello strano incontro non avrebbe certo dovuto influire sopra i disegni del suo cuore.

«Se la lucerna che ti mena in alto truovi nel tuo arbitrio tanta cera quant’ è mestiere infino al sommo smalto», cominciò ella, «se novella vera di Val di Magra o di parte vicina sai, dillo a me, che gi

«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna, come libero amore in questa corte basta a seguir la provedenza etterna; ma questo è quel ch’a cerner mi par forte, perché predestinata fosti sola a questo officio tra le tue consorte». venni prima a l’ultima parola, che del suo mezzo fece il lume centro, girando come veloce mola;

Tollerante e rispettoso delle illusioni altrui, egli si era tenuto pago a questa discreta persuasione che c'è vita fin che c'è olio nella lucerna; ma dacchè Flora gli aveva stracciato il cuore, al cospetto del suo dolore, andava dubitando che nella fiamma possa entrare qualche cosa di più sottile e di sensibile che non si compera alla bottega e che crepita e vibra nel fuoco stesso che alimenta.

Mentre così ragionavano, tornò la fantesca ed aperse l'uscio. Entri; diss'ella, tirandosi da un lato, colla lucerna in mano; la mia padrona si veste. Ma quest'altro signore.... Non temere, è un amico mio, e della signora. Prendi, Gabrina! Mi chiamo Rosa, a' suoi comandi! soggiunse la donna. Non importa; io ti chiamo Gabrina.

Alzava il calice contro la fiamma della lucerna e nell'ambra splendente del liquore rivedeva come di scorcio il fantasma della sua vita passata e trapassata, dai caldi entusiasmi della prima messa ai rosei tramonti della sua prima parrocchia di montagna, dov'era arrivato quarant'anni fa con un breviario sotto il braccio e un sacco di fede in ispalla, dove avrebbe potuto e dovuto rassegnarsi a vivere e a morire, vergine di cuore e di pensieri, fra la povera gente, se il diavolo...

Vito e donn'Amalia al cantone del vico a sinistra, parlano sottovoce. I garzoni lavorano nella tintoria. Rafele lava qualcosa nella tinozza, davanti alla tintoria stessa. Don Marco davanti alla bottega sua, seduto, accorda una chitarra. Rabbiele il ciabattino lavora. Una lucerna è sul banchetto e attorno alla lucerna è una carta verde che fa da paralume. Rafele, curvo sulla tinozza zufola.

Maria entrò in punta di piedi e facendo con una mano riparo alla fiamma della lucerna, si avvicinò ad uno dei letti e si pose a contemplare il viso soave, sebbene appassito dagli anni, di una donna, che dormiva profondamente, appoggiando il capo all'alto del capezzale, sul braccio ripiegato. Sul vago sembiante di Maria apparve un'espressione di tenerezza, di contento.

Quale giuoco? domandò Nicla ridendo. I quattro cantoni! Ah, il lago dei Quattro Cantoni! ripetè la fanciulla, corrugando le sopracciglia. Allora è a Lucerna, la mamma. Vuole che torniamo? interruppe il conte. Temo che facciamo troppo tardi, e che la signora ci aspetti.... La fanciulla lo guardò, e le parve un poco aggrondato.

Parola Del Giorno

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