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Aggiornato: 12 maggio 2025
Sono affezionato ai miei padroni... sissignore... Uscire di quella casa... sicuro... che mi farebbe dispiacere... Ma però... sa bene... se si può migliorare il proprio stato... onestamente, s'intende... è da matto il non farlo. Quanto vi danno al mese? Trenta lire... e non è molto.
E che somma gli si può chiedere? domandò un di que' tre con voce chioccia. Aveva una grinta verde d'assassino. Duecento mila lire di sicuro. I compari ricambiarono uno sguardo.
Si impiegavano sei ore per trasferirsi in vettura da Milano a Pavia; non era permesso di varcare senza passaporto i confini della Venezia. Le maschere carnevalesche erano insulse e indecenti. Ai veglioni della Scala non era permesso lo accedere senza l'abito nero e un piccolo domino alla spagnuola, che ordinariamente si prendeva a nolo per dieci o venti lire.
Fra le altre, il Lastafarda juniore contava questa: suo fratello aveva dato mille lire al Vharè sulla parola, e non gli era stato più possibile di riaverle.
Anche lì trovò del marcio, e non poco: i due giardini d'aranci, e un bel podere, affittati per ventimila lire all'anno al zu Vito e socio, n'avrebbero potuto dar quaranta, per lo meno! era stato proprio uno sperpero, e sarebbe stato urgente rimediarci. Ma c'era disgraziatamente quel benedetto contratto di fitto, e bisognava rispettarlo.
Egli aveva trentamila lire di rendita e il suo patrimonio, quando morì, era considerevolmente aumentato, poichè egli aveva trovato il modo di vivere signorilmente, senza spendere neppure un quinto.... che dico!... neppure un ottavo delle sue rendite.
Vorrebb'Ella, signor Conte illustrissimo, prestarmi una ventina di lire, onde io possa concorrere col mio obolo al sollievo di una sciagura veramente lacrimevole?... Prometto fra dieci o venti giorni, restituirle la piccola somma, anche a costo di vendere il paiuolo o il pagliericcio.» Il Conte si lascia commovere, e in luogo di venti, porge quaranta lire al vecchietto, dicendogli con affettuosa tenerezza: «tenete, buon uomo; non esigo restituzione, andate a compiere la vostra opera santa, ed io mi terrò felice di averci, in certa guisa, partecipato.» Il vecchio partì colle lacrime agli occhi, e il domani mandò alla famiglia derelitta la somma di cinquanta centesimi.
Anche la cifra enorme delle varie sovvenzioni e degli interessi accumulati gli riesciva inaspettata, incomprensibile. Come?... Novantasette mila lire?!... Aveva speso novantasette mila lire?!... In che modo? Per il matrimonio, per Nora aveva ricorso alla sua amministrazione.
Egli non rispose e prendendo sul tavolinetto basso, che aveva accanto, un mucchio di carte le mise sotto gli occhi trecentomila lire in cambiali, che erano state respinte allo sconto dalla Banca Nazionale, e due avvisi di cambiali per una somma complessiva di dugentomila lire che scadevano il giorno dopo. Come farai? gli domandò la madre. E che so io?
Nel 1688, ducante Francesco Morosini, uscirono dalla veneta zecca tali monete, che 2 e mezza d'esse uguagliavano uno zecchino, e delle quali ciascuna equivaleva a lire 10 di Dalmazia o lire 6. 16 di Venezia, perché allora nella capitale lo zecchino andava a lire 17, nelle province a lire 25.
Parola Del Giorno
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