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Aggiornato: 18 maggio 2025


L'usignuolo cantava. Da prima fu come uno scoppio di giubilo melodioso, un getto di trilli facili che caddero nell'aria con un suono di perle rimbalzanti su per i vetri di un'armonica. Successe una pausa. Un gorgheggio si levò, agilissimo, prolungato straordinariamente come per una prova di forza, per un impeto di baldanza, per una sfida a un rivale sconosciuto. Una seconda pausa. Un tema di tre note, con un sentimento interrogativo, passò per una catena di variazioni leggère, ripetendo la piccola domanda cinque o sei volte, modulato come su un tenue flauto di canne, su una fistula pastorale. Una terza pausa. Il canto divenne elegiaco, si svolse in un tono minore, si addolcì come un sospiro, si affievolì come un gemito, espresse la tristezza di un amante solitario, un desio accorato, un'attesa vana; gittò un richiamo finale, improvviso, acuto come un grido di angoscia; si spense. Un'altra pausa, più grave. Si udì allora un accento nuovo, che non pareva escire dalla stessa gola, tanto era umile, timido, flebile, tanto somigliava al pigolio delli uccelli appena nati, al cinguettio d'una passeretta; poi, con una volubilit

Era l'ora del mezzodì; sotto la sferza del sole nessun uccello si avventurava sugli alberelli vicini, nessun passero saltellava sulle sabbie ardenti dei viali, ma giù nel boschetto, che pareva tuffarsi nel lago, l'usignuolo levava ogni tanto la voce di mezzo al confuso chiacchierio di mille voci.

Quando la luna, cogli argentei raggi, traversava il fronzuto fogliame, Sant'Aubert restava ancora; e spesso si faceva portare, sotto quell'albero a lui caro, i latticini ed i frutti che componevano la sua cena. Allorchè la notte faceasi più cupa, l'usignuolo cantava, ed i di lui armoniosi accenti risvegliavangli nel fondo dell'anima una dolce malinconia.

Ell'era così felice, così felice di quel piccolo uomo arso dal sole, delle parole sue tanto calde, tanto franche! E aspettava. Quattro mesi fa Antonietta chiese in grazia alla zia che le facesse pigliare un po' d'aria. L'usignuolo s'annoiava in gabbia. E come la zia non poteva accompagnarla ella uscì sola a passeggiare. Se ne andò in villa. , non si sa come, le si accostò un furiere di linea.

Il giardino s'era confuso in una massa violacea, rotta ancora dal luccichio cupo della vasca. Una zona di luce persisteva ai confini del cielo, una larga zona tricolore: sanguigna in basso, poi arancia, poi verde del verde d'un vegetale morente. Nel silenzio crepuscolare una voce liquida e forte risonò, simile al preludio d'un flauto. Cantava l'usignuolo. È sul salice mi susurrò Giuliana.

Agenore! aggiunse il cieco. Io proprio; avrei potuto star qui fino a domani, che non vi sareste accorti di me. Io me n'era accorto disse Leonardo, ma credevo che tu pure ascoltassi quello che dice l'usignuolo. Non ne ho l'abitudine, la piglierò quando avrò moglie.... E prego Dio che sia presto! disse Ernesta scherzando. Ed io prego il suo Dio di tapparsi le orecchie....

Orbene, mentre l'usignuolo cantava, ed io avrei pur voluto scorgerlo; mentre quella moltitudine allegra andava a diporto, mentre il cielo era sereno e una brezza leggiera correva per l'aria, facendo stormire le fronde, a me andava man mano affievolendosi il respiro. La vita se ne andava, e mi pareva di vederla, come un umor diafano, rifuggirsi dalle estremit

Invano le rondini la salutavano nel passare. Invano i passeri la chiamavano a nome dalle grondaie, invano l'usignuolo esauriva il suo repertorio d'ariette; le frondi, il venticello, gl'insetti le parlavano all'orecchio invano. E passavano i giorni, tristamente monotoni, lunghi, pieni d'angoscia senza nome.

L'usignuolo rispose Ernesta, si dondola nel fitto d'un salice, le rondini interrompono i voli rapidi per posarsi sopra un ramo e pigliar parte alla generale altalena. E all'immenso susurrar delle frondi, proseguì il cieco, l'usignuolo e le rondini frammettono volate rotte a mezzo, gorgheggi sommessi e interiezioni di piacere.

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