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Aggiornato: 3 maggio 2025
Ce ne fu uno che imprese un viaggio d'esplorazione nei labirinti d'un orecchio; ma la scrofa, sentendosi solleticata, diede uno scossone che lo fece cadere a terra con tutti i suoi compagni. E che pigolìo allora, che chiocciare della mamma spaurita, che batter d'ali, che vocio per tutto il cortile!...
Avevano finito di pranzare; la mamma era rimasta sonnecchiando coi gomiti sulla tavola; Matteo, il contadino, andava e veniva dalla stalla alla cucina, e i due bambini erano scomparsi. Tina seduta sull'erba del prato accanto alla massaia guardava giù verso il rio nascosto, che serpeggiava nella valle. Improvvisamente un pigolìo rotto da strida tormentose la distrasse.
Non vide mai sorgere quel sole opaco dietro le nebbie, senza che il suo pensiero non lo trasportasse alla casa paterna; e la vedeva da lontano, illuminata dallo splendido sole d’Italia, e gli pareva di udire lo stormir delle fronde dei suoi boschetti, il pigolìo dei passeri al crepuscolo, credeva di respirare l’olezzo di quelle piante, e sentiva l’aria pura dei monti e del Piave, che gli sbatteva il viso, quando appariva il balcone della sua cameretta così piena di ricordi.
Puri, puri, pì, pì, pì. Ed era un pigiarsi vorace, un rumore sordo di becchi che battevano il suolo, tramezzato da qualche schiamazzo, da salti e beccate con le penne del collo arruffate nel contrastarsi il becchime, dal pigolio dei pulcini e dal chiocciar delle chiocce, dal tubar dietro la compagna di qualche piccione, che, da vero innammorato, preferiva al cibo la galanteria.
E non gli volle dire che gli anni e i dispiaceri sogliono far di questi scherzi. Passò un mese. I piccini del colombo s'eran fatti grandi e strillavano, sporgendo dalla buca le testine ancora spelate. Attorno a quel nido altri nidi si destavano all'alba e un pigolio continuo succedeva sino a quando l'appetito dei piccoli colombi non era soddisfatto.
L'usignuolo cantava. Da prima fu come uno scoppio di giubilo melodioso, un getto di trilli facili che caddero nell'aria con un suono di perle rimbalzanti su per i vetri di un'armonica. Successe una pausa. Un gorgheggio si levò, agilissimo, prolungato straordinariamente come per una prova di forza, per un impeto di baldanza, per una sfida a un rivale sconosciuto. Una seconda pausa. Un tema di tre note, con un sentimento interrogativo, passò per una catena di variazioni leggère, ripetendo la piccola domanda cinque o sei volte, modulato come su un tenue flauto di canne, su una fistula pastorale. Una terza pausa. Il canto divenne elegiaco, si svolse in un tono minore, si addolcì come un sospiro, si affievolì come un gemito, espresse la tristezza di un amante solitario, un desio accorato, un'attesa vana; gittò un richiamo finale, improvviso, acuto come un grido di angoscia; si spense. Un'altra pausa, più grave. Si udì allora un accento nuovo, che non pareva escire dalla stessa gola, tanto era umile, timido, flebile, tanto somigliava al pigolio delli uccelli appena nati, al cinguettio d'una passeretta; poi, con una volubilit
A farmi cadere dalle nuvole non ci voleva altro che il confuso pigolìo che saliva dal sottoposto cortile. Abbassai gli occhi e vidi l'Agata accoccolata che sminuzzava della polenta chiamando i polli. Alla sua voce il gallo, le galline, le chioccie e i pulcini accorrevano da tutte le parti saltellando, svolazzando e cantando, le saltavano d'intorno festosi, rubandosi i bocconi dalle mani.
La gallina s'era accovacciata, e rimaneva immobile cogli occhi chiusi come se dormisse. Ma, traverso le palpebre sottili, l'occhio si moveva, ed un pigolìo sommesso e lieto accompagnava il suo respiro. Tratto tratto apriva gli occhi, poi li richiudeva in fretta, come premurosa di ripigliare il filo d'un sogno caro.
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