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I Romani timorosi di assalti tenevano custodito il confine dal lato di Napoli, con molto loro non meno incomodo che jattura, chè la gente sparsa non potè esercitarsi nelle armi, onde l'avemmo a provare poi valorosa non perita; erano le diligenze del governo o inopportune o troppe, che fatta anco la tara, come di giusto, alle jattanze napoletane, non si poteva mettere in non cale la perpetua minaccia di rompere i confini: quotidiane per di più le provocazioni, imperciocchè parecchie barche scorressero su e giù pel lago di Fondi acclamando a gran voce: «viva il Papa! viva il Re!» a cui come di ragione i nostri rispondevano sempre: «viva la RepubblicaPeggio di tutto un laidissimo tradimento: gli ufficiali napoletani di presidio al confino venendo spesso ai quartieri dei nostri per conversare, e per bere indussero i nostri a visitarli nei quartieri loro dove festosamente accolti si trattennero alquanto in compagnevoli sollazzi, ma sul punto di congedarsi si vedono circondati da molta mano di carabinieri ed odono intimarsi la resa: non ci era da fare riparo, andarono, eccetto due il quartiermastro Bizzani che appiccato un solenne ceffone su la faccia di un gendarme si prevalse del costui stordimento per fuggire, e scappò del pari il sargente maggiore Bemi che giocando di pugni e di calci usciva loro dalle mani; si richiesero tosto con minaccia, e con minaccia fu risposto averli mandati a Mola di Gaeta perchè il Generale supremo Casella gl'interrogasse; allora misero le mani addosso ai fratelli dello Antonelli ammonendoli, che essi sapevano, e non per nulla, la legge mosaica occhio per occhio, dente per dente.

Anco il principe di Condè si legge, che in Ispagna quando i suoi si accinsero a salire su la breccia di Leira fece sonare i violini: queste jattanze non invidinsi ai Galli; devono gl'Italiani affrontare la morte da eroi, non irriderla come giullari.

VIII. Jattanze e speranze. Ma ritorniamo all'animoso ministro dal quale l'ordine delle idee ci portò alquanto lontano. Rivenuto di Parigi al suo parlamento dovevasi certamente aspettare che, col ritegno voluto dalla prudenza, egli toccasse delle cose trattate in Parigi, cioè della proposta sua rispetto al migliore governo da dare a una parte degli Stati Papali. Nel che non poteva, almeno in massima, non convenire, e l'Imperatore, la cui lettera a Edgardo Ney rimaneva da più anni quasi fatta ludibrio alla Corte di Roma; e l'Inghilterra, che aveva nella vittoria di Crimea messa in luce piuttosto la sua debolezza che la sua forza, e a cui doveva gradire che opportunit

Continuano i lavori, e le jattanze francesi; essi però conducono a termine la batteria quinta prima per far tacere il nostro fuoco del bastione settimo, e poi per aprire la breccia; mandano scorrerie sul Teverone per rompere i ponti Salaro, Nomentano, e Mammolo, e così chiudere da questo lato ogni comunicazione con Roma; sorprendono il colonnello Pianciani, che in compagnia di un suo ufficiale veniva nella carrozza del corriere, e lo tengono prigioniero di guerra: l'Oudinot vanta questa presa come una conquista, ed è ciurmatore; aggiunge nel rapporto averla conseguita dopo combattuta aspra pugna, ed è bugiardo: fa una funata di poveri contadini, e gl'invia in Francia trofei di guerra, e così conferma la sentenza che sopra tutte le passioni la vanit