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Iersera... Dopo le sette e mezzo... Era tardi per telegrafarti a Roma... Si poteva, lo so, telegrafar lungo la via... Ma per dar questa notizia era meglio che venisse qualcheduno... E son corso alla stazione appena in tempo di prendere il diretto delle 8.15... A Pisa non era possibile d'arrivare.... A Spezia ero gi

Che noiosi, quelli! e se sapeste che musi lunghi, iersera! Questo appunto mi premeva di sapere. Avete gi

Il castello dei burattini. 6 agosto 18... Perchè non è venuto ai burattini, iersera? Ah, perbacco! esclamai, battendomi la fronte. Se n'era dimenticato? Belle cose!

Filippo gli disse con voce secca: Non ho voglia di scherzare, Berto! E non scherzo. Mi dispiace sinceramente di vederti così, come ti fosse avvenuto qualche cosa di molto grave. Eri tanto allegro iersera....

Vedi. Gentucca m’ha fiorita la stanza, avanti il tempo. Puoi avvicinarti, sederti. Non sono in vena di stravaganze. Non sono affatto pericolosa. Bisogna perdonarmi. Iersera c’era afa di temporale nell’aria. Non so che m’aveva presa. Ma è certo che oggi devo guarire di questa benedetta mania. Basta dirmelo, basta volerlo. Mi dispongo a tornare in pace. Dopo domani è il Corpus Domini.

Ma venne Federico a battere alla mia porta. Entrò. Che nuova mi portava? La sua presenza mi scosse. Iersera non ci vedemmo disse. Tornai tardi. Come stai? bene male. Iersera ti doleva il capo. È vero? : per questo andai a letto presto.

Appena entra nella trattoria, è uno sgomento generale di tutte le sue conoscenze: poichè egli fa il giro delle tavole, guarda i piatti, e poi esce a dire: Come! lei, signor Paolo, osa mangiare dei cardi al burro? ma se ne guardi bene! iersera, un giovane, più robusto di lei, ha mangiato i cardi al burro e stamane gli davano l'olio santo.

Vedevo che gli pareva scortese di lasciarmi così su due piedi, e che, mortificato dalla mia repulsa, non sapeva quale discorso tenermi. Iersera abbiamo fatto musica in casa Treuberg diss'egli. M'inchinai in silenzio. C'era soggiunse anche la signorina Luise. M'inchinai daccapo. Egli attese ancora un poco, mi fece un profondo saluto e se n'andò.

Iersera ci venni io in persona come mi vedi: ond'ella ancor si rise perché, fuor de l'usanza di quell'altro, venni di corte e prima fui partito che tu te ne accorgessi; ché eri dentro. E l'animo mio fu sol di vendetta. Paionti sogni? o pur che con effetto io fossi desso? Or vuoi negarlo? FRONESIA. Non posso, volendo. Meschina a me! Ti dimando perdono.

CURZIO. Vien fuori e piglia la cappa; e spácciati. Che cosa fai? RUFINO. Andiamo. Io sono in ordine. CURZIO. Dimmi un poco, or che me ricordo: parlasti tu mai con la serva di Iulia? RUFINO. Io vel dissi pur iersera; ma voi non me ci desti orecchie. CURZIO. Io avevo altro in capo, a dirti el vero. Ma pur, che ti disse? RUFINO. Ella è mezza contenta; e spero... Basta. CURZIO. Come mezza contenta?