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Aggiornato: 11 giugno 2025


Il 9 giugno, Gervasio scriveva a suo padre: «Jeri siamo entrati a Milano, dopo gli eserciti alleati che accompagnarono il re e l’imperatore, i quali furono accolti con indescrivibile entusiasmo dalla popolazione esultante.

Intanto Gervasio attendeva in Lombardia la ripresa delle armi, mentre che i diplomatici raccolti a Zurigo si studiavano di fabbricare una pace, come i fanciulli, quando innalzano dei castelli colle carte da giuoco.

Non trovai Gervasio ai pascoli, che come ben sai Baccio, distano da qui una buon'ora di Cammino; egli era partito quella notte stessa per la sua casera di San Sulpizio; cinque leghe di strada, e che strada! Titubai alquanto se dovessi raggiungerlo, o rimandar la cosa al suo ritorno.

Gervasio usciva da quella casa consolato, Silvio lo accompagnava alla ferrovia, e mentre la gondola li trasportava attraverso i canali, il padre mostrava al figlio la sua soddisfazione, e largheggiava di promesse e consigli.

Il maestro sapeva che Silvio cominciava appena la convalescenza della grave malattia sofferta, e vedeva d’altronde che le apprensioni di Gervasio erano esagerate; scrisse dunque in modo da non spaventare nessuno, annunziando il desiderio del padre, facendo vedere che non c’era urgenza, e che sarebbe stato bene di prendere delle misure per restare in campagna qualche mese colla moglie, per tener compagnia al padre infermo, e in pari tempo per rimettere perfettamente in salute anche Silvio, coll’aria pura ed elastica della villa, durante la bella stagione.

Gervasio e Silvio partirono piangendo, e deplorando di non poter portare con loro le ceneri sacre della loro povera morta. Erano anche dolenti di non poter rientrare in patria colle armi alla mano, ma il padre era rimasto storpio per la ferita del 48, e il figlio aveva appena otto anni.

Gervasio dichiarò che non trovava nulla meglio del matrimonio progettato, e fissando gli occhi sul maestro, aspettava il responso dell’oracolo.

E accompagnando alla stazione il genero e la figlia, mandava i suoi saluti e quelli di suo marito al caro signor Gervasio, e a tutta la famiglia, cogli auguri d’una perfetta guarigione, e le più calde raccomandazioni d’un pronto ritorno.

Mentre si aspettava la risposta da Venezia, un nuovo incidente venne a rendere più irritante la reciproca condizione delle due famiglie che vivevano insieme alla villa, guardandosi con diffidenza. Pasquale aveva saputo all’osteria che Andrea si lamentava con tutti del testamento dello zio Gervasio, e dei carichi che gli erano imposti.

Gli pareva di sentire un’intuizione che lo ammonisse d’un grande avvenire per la sua famiglia, e cercava attentamente sul lunario un nome che corrispondesse alle sue idee, e che fosse di buon augurio. Il nome di suo padre gli metteva un brivido, un grand’uomo non poteva chiamarsi Gervasio.

Parola Del Giorno

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