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Aggiornato: 13 settembre 2025
Sí che fugge come fa la mosca da la pignacta che bolle, per paura che ha del fuoco: se fusse tiepida, non temarebbe, ma andarebbevi dentro, benché spesse volte egli vi perisce, trovandovi piú caldo che non si imaginava.
Le quali parole udendo noi, quale e quanto fusse lo stordimento, voi da voi stessi puotete pensare: dico che tutti li capelli se ne arricciarono e, quasi perdute tutte le sentimenta, piú morti che vivi in terra cademmo.
LIDIO maschio. Fessenio! o Fessenio! FESSENIO. Che donna è quella che a sé m'accenna? Aspetta, tu, che a te torno ora. LIDIO femina. Fannio, se io sapessi che mio fratel vivo fusse, di speranza non sperata sarei or piena; perché vederei lui essere quello per cui costui me ha còlto in scambio. FANNIO. Tu non sai anche lui essere morto. LIDIO femina. Non giá.
Ora attenetemi la promessa o ch'io vi chiamarò in steccato per mancatore. FLAMMINIO. Io non credo che fusse mai al mondo il piú bello inganno di questo. È possibile ch'io sia stato sí cieco ch'io non l'abbi mai conosciuta? CRIVELLO. Chi è stato piú cieco di me che ho voluto mille volte chiarirmene? Che maladetto sia! Oh! ch'io son stato il bel da poco!
Poi che egli ha purificata l'anima da la colpa, riceve pace di coscienzia, comincia a disponere l'affecto de l'anima e aprire l'occhio de l'intellecto a vedere il luogo suo, che, prima che fusse vòto, non il vedeva né vedeva altro che puzza di molti e diversi peccati.
E alcuna volta erano di quelli che actualmente la facevano, e spezialmente quando avessero veduto che al subdito fusse paruto molto malagevole. Unde per quello acto la malagevolezza lo' tornava in dolcezza.
DON FLAMINIO. Quando pensava che fusse alla metá dell'istoria, ci avevi lasciato il principio; e or al principio bisogna dar un altro principio. LECCARDO. Se non volete ascoltar, io taccio. DON FLAMINIO. Eh, parla col diavolo! LECCARDO. Non parlo col diavolo io. DON FLAMINIO. E tu parla con Dio. LECCARDO. Or questo sí, in nomine Domini. DON FLAMINIO. Amen.
Unde, se lo' fusse possibile d'avere virtú senza fadiga, non la vorrebbero, ché piú tosto si vogliono dilectare in croce con Cristo e con pena acquistare le virtú, che per altro modo avere vita etterna.
SPELA. Ehi, liberalaccio! E a me che darete? CLEMENZIA. Tanto fusse voi in grazia del duca di Ferrara quanto voi sète in grazia di Lelia, che buon per voi! Ma sí! Voi la dileggiate: ché, se voi gli volesse bene, non la terreste in queste trame né cercaresti di tuorgli la sua ventura. GHERARDO. Come torgli la sua ventura? Io cerco di darglila, non di torgliela.
Non per difecto del Sangue, né per difecto del ministro che fusse in quello medesimo male o maggiore: però che 'l suo male non guasta né lorda il Sangue, né diminuisce la grazia e virtú sua, e però non fa male a colui a cui egli el dá; ma a se medesimo fa male di colpa, alla quale gli séguita la pena se esso non si corregge con vera contrizione e dispiacimento della colpa sua.
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