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Aggiornato: 15 luglio 2025
Arrivato davanti al cancello mi ero fermato alcuni istanti a guardare. Un mucchio di rose gialle, rosse avvampanti, candidissime, era deposto sul tavolinetto di ferro accanto a cui sedeva mia madre, mentre Fausta, in piedi, intenta a comporre diversi mucchietti, assortiva con cura i colori, le forme, la grandezza. Al lieve stridìo del cancello, ella si volse e con impeto di gioia mi lanciò addosso molte delle rose gi
Non avevo saputo resistere alla malìa del suo accento, al contatto delle sue mani che, brancicando, avevano afferrato le mie con predente carezza. Mi sentii tutt'a un colpo trasportato indietro, alle prime settimane del nostro matrimonio, quando Fausta mi era sacra come futura cooperatrice nel gran miracolo di creazione per cui l'avevo prescelta.
Il latte alterato dai dispiaceri l'aveva, pur troppo, come diceva Fausta, avvelenata. Il mutar latte non valse a niente. Nei primi giorni dell'autunno eravamo ritornati in citt
Quando però tornai dal camposanto dove avevo accompagnato la piccola cassa mortuaria, coperta di raso bianco che spariva sotto il cumulo di fiori sciolti profusovi sopra e attorno, fui preso da improvvisa commozione alla vista di Fausta stesa come una morta sul letto, sussultante pei singhiozzi che non arrivavano a risolversi in pianto.
Ma ella era ormai condannata a scontare ciò che Filippo soffriva per Loredana; ogni episodio triste o increscioso dell'amicizia tra la fanciulla e il conte Vagli si ripercuoteva nell'amore tra il conte Vagli e Fausta; la quale non capiva, non sapeva darsi ragione, non sospettava menomamente la causa di quella mutazione improvvisa, e cominciava a credere che Filippo fosse malato davvero, seriamente, più di quanto egli aveva detto.
Che cosa guardate? gli domandò Fausta d'un tratto. La bellezza della contessa pareva scintillare sotto il sole; i capelli neri avevan riflessi azzurrini e gli occhi cilestri esprimevano una dolce ingenuit
Lasciala riposare, mi disse sottovoce. I singhiozzi erano cessati; sul pallido volto di Fausta gi
Il dottore Agenore vi giunse verso il mezzodì, a piedi, sotto la sferza d'un sole di maggio che per l'occasione fausta si era fatto anticipare i raggi di luglio. Grondava di sudore il poveraccio, era impolverato ed ansante.
Le spruzzò il viso con acqua fredda, le fece odorare dei sali: Non è niente! Si è strapazzata troppo. Ha voluto andare sempre a piedi balbettai. Fausta! Fausta! Aperse gli occhi, sbalordita; poi sorrise: Scusa, mamma! Non so.... Da questa mattina!... Hai avuto paura, povero Dario?... Non mi è accaduto mai prima d'oggi. Ti senti meglio? Sì, Dario.
E quella domanda, la quale sarebbe parsa ardita e sconveniente per un'altra fanciulla, ai due amici sembrò così naturale, che si stupirono di non aver mai parlato d'un argomento che si prestava a tante confidenze. No, non ho amanti, rispose Filippo. Loredana si mise a ridere. Neanche la contessa Fausta di Montegalda? domandò maliziosamente, e soggiunse: Fausta! Che bel nome!
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