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Aggiornato: 11 giugno 2025
CINTIA. Veramente senza me non potreste far nulla: farò di modo che la mia balia gli ne faccia motto e che restiate sodisfatto in ogni modo. ERASTO. Vorrei un'altra grazia: vederla in casa vostra di giorno o in fenestra fuor della gelosia liberamente, perché, avendola amata tanto tempo ed essendo mia sposa, non ho potuto saziarmi di vederla a mio modo.
ERASTO. Ti prometto che non potendola veder a mio modo, quando mi licenziarò, fingerò di abbracciarla; e cosí tôrla di peso e portarmela a casa, perché, secondo tu mi dici e io mi persuado, son stimato da goffo. DULONE. Dubito che con la sua vista vi incanterá, e rapito dalla dolcezza porrete in oblio ancor voi stesso.
ERASTO. Io non sono stato ingannato se non da lei nell'amor suo; percioché io stimava che mi amasse come amava io lei e come suo sposo, ma veggio che è nemica del suo sposo e di se stessa. PEDOFILO. E pur lá con la moglie. La tua perfidia mi condurrá oggi a manifestarvi cosa che da che sono in Napoli non non ho voluto manifestare.
Però bisognava godersi insieme di notte senza che anima se ne accorgesse per imaginazione: e voleva per patto espresso che non passasse mai per casa sua, non le mandasse ambasciate per altri che per me o per la mia balia; e che si facesse una buca nel muro, che divideva la casa sua dalla mia, per poter passar nel mio appartamento; e che mentre ella stesse con lui, io non mi fussi partito dalla buca per alcun periglio che n'avesse potuto succedere; e che in camera si fusse contentata averla con un lumicino: il che fu tutto accettato da Erasto liberamente come quello che ne spasimava di passione....
Se l'amasse come tu dici, l'accettarebbe per isposo. DULONE. Pazzo è chi accetta per isposa chi può giacer seco quando gli piace. ERASTO. Taci, lingua fradicia! Non so io il costume di servi, che come veggon un che sia caro al padrone se gli congiurano contro? tu cerchi turbar una coppia di amici cari come noi siamo.
ERASTO. Perché se lo credessi morirei. DULONE. Non lo credete perché vi dispiace. ERASTO. Ma tu non sai che la domenica passata giacque meco e l'ebbi nuda in queste braccia? come dice che dormí seco in sua camera? DULONE. Dite che nol credete, e pure il domandate. ERASTO. Cerco la veritá del fatto.
Come ora stava ragionando col padre, se ora stava ragionando meco? DULONE. Alcun di noi sta fuor di sé. Dove voi avete ragionato con Amasia? ERASTO. In casa di Cintio, in quella finestra sovra la porta; nel por che tu facesti il piè nella strada, ella fu chiamata e partissi.
CINTIA. Io non ho fatto mai tanto per lei che il suo merito non ne meritasse molto piú. ERASTO. Ma qual merito non cede a tanta ricompensa? pregovi per ora appagarvi della mia perpetua servitú. CINTIA. Non può esser servo chi è maggior del padrone.
CINTIA. Maggiori ne udirai. ... Venuta ch'io fui all'etá convenevole, Arreotimo mi mandò alla scuola con Erasto, figlio di Sinesio, acciò, per essere amendue d'una istessa etá, l'emolazione avesse me spronato agli studi.
CINTIA. È vero che senza me non areste avuta niuna dolcezza, né di ciò mi dovete aver obligo alcuno, perché di quella ne ho avuto altretanta anch'io, anzi il doppio, ché ho avuto il mio e il piacer del vostro piacere. ERASTO. Orsú, narratemi i vostri amori, ché farò tutto il possibile accioché abbiate il vostro intento.
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