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Aggiornato: 9 giugno 2025


Il terzo personaggio fu il cuoco dell'Ambasciatore, che ci portò il caffè; un piemontese pretto, tagliato tutto d'un pezzo in un pilastro dei portici di piazza Castello, il quale da Torino, ch'egli chiamava il giardino d'Italia, era piovuto, pochi giorni prima, a Tangeri, e non aveva ancora ritrovato stesso. Il pover'uomo non faceva che esclamare: Oh che paese! Oh che paese!

Polo contemplò lunga pezza questa scena, ma intanto la notte era calata e denso velo ricoprì tutti gli oggetti. Si ritrasse adunque dal balcone, serrò le vetriate e scese nel salotto. Sedette allo scrittoio, aperse il manoscritto, e sfogliando s'arrestò senza averne intenzione alla pagina che così chiudeva: «Il fine della virtù, ha detto lo storico Cuoco, è la felicit

Ma la nostra ora, come diceva il cuoco, non era ancora sonata; e dopo un miglio di cammino, arrivammo a una collina accessibile, sulla quale ci arrampicammo in fretta e in furia, volgendoci indietro a rimirar lo passo. Veniva con noi, a cavallo, un vecchio soldato di Laracce, un po' tocco nel cervello, che rideva continuamente; ma che, grazie al cielo, conosceva la strada.

Poco dopo compariva Mosè per fare la solita partita a terziglio col padrone, e il vicino. Mosè fu uno degli ultimi coscritti di Napoleone, aveva servito il capitano al reggimento, e continuava a servirlo fedelmente dal tempo che deposte le armi, si erano ritirati in campagna. Era il vero amico, e il più fido compagno del padrone, gli faceva da segretario e da castaldo, da giardiniere e da cuoco.

Il nostro tenente, ch'era il N. H. Leonardo Bollati, arricciava il naso a sentirsi trattar con questa confidenza dal suo antico cuoco, ma eran tempi democratici e conveniva adattarvisi. Del resto il nostro tenente non aveva opinioni ben determinate circa all'andamento probabile della guerra, ed era disposto ad accettar le opinioni del signor Oreste.

Due avvocati, amici intimi, pranzavano sempre insieme, ed offrivano delle aberrazioni affatto speciali. L'uno si lamentava che il cuoco salava troppo le vivande. Al contrario l'altro le trovava insipide. Si bisticciavano un po' e quando l'aberrazione cessava mangiavano tutti e due deliziosamente. *Igiene del gusto.*

Aspettare gli ordini, aspettare le manovre, aspettare l'offensiva. Ora siamo a riposo in una brutta fattoria perduta nell'immensa pianura paludosa... Per quanto tempo? Aspettare non vuol dire riposarsi. Se fossi a Milano o a Roma farei almeno dell'utile propaganda. Qui non si fa nulla. Per fortuna il nostro cuoco è veramente meraviglioso!

Mi sembra che il cuoco di San Bruno la faccia fare anche ai magri; osservò il padre Prospero. Del resto, meglio così; una cura fatta in comune è più tollerabile. Con questi discorsi il padre Prospero teneva a bada il compagno. E sapete perchè? Per non dargli il passo alla caverna.

PIRINO. Fate conto, signora, che la fortuna per questa volta ha fatto come il buon cuoco che, per tor la soverchia dolcezza delle vivande, ci mescola un poco di agresto; cosí per aver acquistata Melitea, per moderar tanta gioia, mi fa assaggiar questo poco di molestia: però, vita mia, entriamo e spogliatevi le vesti. MELITEA. Non si potrebbe ciò far senza spogliar le vesti?

Bisogna vedere soggiunge il signor Oreste rivolgendosi ai militi. E seguìto da loro s'avvicina al misterioso personaggio, nel quale, con sua grande maraviglia, riconosce nientemeno che il conte Leonardo Bollati. Oh! Eccellenza balbetta l'ex cuoco con un resto d'ossequio.

Parola Del Giorno

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