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Aggiornato: 11 giugno 2025
Il delegato ed il sindaco scappano e si nascondono; i carabinieri si chiudono nella caserma e i tumultanti rimangono padroni del campo: interrompono le comunicazioni telegrafiche, liberano i detenuti, devastano e incendiano la casa del sindaco, la pretura, gli uffizî pubblici, saccheggiano diverse case e negozî. I danni prodotti sorpassano il milione di lire ma credo che la cifra sia stata molto esagerata. Nei tumulti di Valguarnera si ebbero a deplorare parecchie rapine che sia detto ad onore del popolo non si ripeterono in nessun altro luogo. Spesso anzi ci fu fanatismo nel mostrarsi onesti; e nella stessa Valguarnera, quasi a compenso, si ricorda che i tumultanti posero in cimento la propria vita per salvare alcuni fanciulli in una casa cui avevano appiccato l'incendio. Le rapine si spiegano col fatto che passato il primo momento non restarono a spadroneggiare se non una trentina di malviventi, che non miravano ad altro se non a rubare. Non ci furono morti; e ci fu un solo ferito per un colpo tirato da un carabiniere. All'indomani, all'arrivo della forza e del Prefetto si fecero circa 300 arresti, tra cui molte donne; la massima parte dei liberati dal carcere andarono a costituirsi. Non si riuscì, però, a riprendere il Cottonaro, promotore primo dei disordini; solo dopo parecchi mesi esso si presentò spontaneamente e si afferma da un altro canto, che molti che furono maggiormente responsabili delle rapine e degli incendî si assicurarono la impunit
Quando mi destai, mi vidi in una caserma, ricinto di soldati stranieri. Vicino a me stava l'amico mio Angelo Usiglio. Gli chiesi ove fossimo. Mi disse con volto di profondo dolore: In Isvizzera. E la colonna? in Isvizzera . Il primo periodo della GIOVINE ITALIA era conchiuso e conchiuso con una disfatta.
Fu dovuto rinunziarvi ed attenersi invece al partito di aprire con chiave falsa un locale terreno della stessa caserma, collocarvi due barili di polvere ed appiccarvi fuoco. Lo scoppio di essi dovea ancora servire di segnale allo scatenarsi della rivoluzione; e così fu.
Interveniva qualcuno di noi a dire che un soldato non poteva dar torto ai soldati. L'amnistia che cosa vorrebbe dire? Che le sentenze militari sono state ingiuste. E questo un generale non lo può dire. Chiesi: Tu non conosci Pelloux. Nella sua vita parlamentare ha dimostrato più di una volta di non essere quello che gli inglesi chiamano un martinet della caserma.
«Sussiste adunque l'insurrezione, sussiste la rovina della caserma Serristori procurata mediante lo scoppio di una mina, e di questo delitto sono convinti per le risultanze del processo Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti.» Terminato così il suo discorso, monsignor relatore, salutò nuovamente l'uditorio, e sedè nel suo seggio.
Signor comandante, i soldati di milordo mi hanno detto che col signor milordo sarei andato alla guerra fra poco, e un di loro mi condusse in caserma. Quanti fuggirono? Molti, ma non so il nome di tutti. Io tenevo d'occhio le finestre, ed eglino, sogghignando, se la svignavano per la porta.
Saranno in caserma, fece burlando il Caldesi. Dove sono le genti promesse? chiese Nullo ingrecato al gentiluomo con una ciera che diceva: Accònciati dell'anima! Signor colonnello, mancarono al convegno. Avete spedito esploratori? Non ne ho trovati. Di quanti militi della guardia nazionale pronti a marciare disponete? D'una ventina.
Serve ora di caserma ai doganieri ed anzi uno di questi appena ci scorse, scese le scale e venne a salutare i pescatori che ben conosceva, ed a verificare il loro passaporto. Lasciai i marinari sulla spiaggia e con la mia guida mi avviai verso San Felice. La posizione del villaggio e la piccola via che vi conduce mi hanno ricordato Capri.
Si trattava d'introdursi in un magazzino di armi sottoposto alla caserma, al quale si poteva accedere per una porta che si apriva sulla via di Borgo Vecchio, introdurvi dei barili di polvere, e appiccarvi il fuoco. Conveniva eludere la vigilanza delle sentinelle, e correre il pericolo imminente di rimanere vittima dell'esplosione.
«Risulta adunque dal processo, che Monti e Tognetti alle ore 7 pom. di quel giorno, 22 ottobre 1867, mediante una chiave falsa, s'introdussero in un locale ad uso di deposito d'armi e di munizioni, sottoposto alla caserma Serristori, occupata dai prodi zuavi, e l
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