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Aggiornato: 23 giugno 2025


E un che 'ntese la parola tosca, di retro a noi grido`: <<Tenete i piedi, voi che correte si` per l'aura fosca! Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi>>. Onde 'l duca si volse e disse: <<Aspetta e poi secondo il suo passo procedi>>. Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta de l'animo, col viso, d'esser meco; ma tardavali 'l carco e la via stretta.

Ancor ti può nel mondo render fama, ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta se ’nnanzi tempo grazia a nol chiama». Così disse ’l maestro; e quelli in fretta le man distese, e prese ’l duca mio, ond’ Ercule sentì gi

Aspetta, la notte è bella. Mi pare strano di non avere paura. Di che? Non lo so, ma non ho paura: è la prima volta che mi trovo in campagna. Egli le ravviò lo scialle perchè non avesse a pigliar freddo. Se la zia ci vedesse! Direbbe che siamo matti, qui, a quest'ora. Ella si arrese, ma al ritorno non parlarono quasi più: si erano fatti gravi.

Il compianto del popolo gli giungeva al Vaticano come il fiotto della marea in tempesta, ed egli aspetta che quei cavalloni dello impeto popolare posino alquanto per condurre a fine lo immutabile proponimento.

Io domando se questa è una cosa ragionevole!... Che gusto tormentarsi così!... Vogliamo ora andar via una buona volta, in nome di Dio? No. Aspetta.

A noi, che oggi scorriamo più spassionatamente gli scritti del principe, riesce incomprensibile come mai un tale autore non abbia incontrato nessuna considerazione. Giacché questi scritti non solo non rispondono punto a ciò che comunemente si aspetta dai peccati letterari di un principe, ma meritano semplicemente un posto onorevole nella storia della pubblicistica. Essi non sono il prodotto di una mente geniale, ma di un'intelligenza eminentemente pratica, sensata e sicura nell'osservazione, ferma e indipendente nel giudizio. Anche l'esposizione è chiara e serrata, con netteté schiettamente francese: il principe sa istradare prontamente i suoi lettori e dare un rilievo pratico a tutte le sue tesi. La ricchezza delle idee, il pathos della veridicit

Va all'ultrice giustizia, che ti aspetta; Male assai grande è agli uomini la ingiuria.

Dove vai? MALFATTO. Venivo a ti. Come sto io? CECA. E che vòi tu ch'i' ne sappia come stai? Guarda ch'adimande da sciocco! MALFATTO. Io volevo dire come stai tu. CECA. Tieni le mani a te. Che farai? MALFATTO. Volevo toccare un po' qua dentro. CECA. Non se tocca qua dentro, se non se piange. MALFATTO. O aspetta un poco. Non te so' moglie io a te? CECA. Sta' da lunga, quando tu parli.

Ti domandai, non di quello che è suo, ma come la stava. FESSENIO. Ah! ah! ah! Come la stava vuoi saper tu? CALANDRO. Messer . FESSENIO. Quando poco fa la vidi, ella stava ... aspetta! a sedere con la mano al volto; e, parlando io di te, intenta ascoltandomi, teneva gli occhi e la bocca aperta, con un poco di quella sua linguetta fuora, cosí.

RUFFO. Vi sono andato cercando un pezzo. FANNIO. Addio, Ruffo. Che c'è? RUFFO. Buono. FANNIO. Che? RUFFO. Or lo saperrete. LIDIO femina. Aspetta, Ruffo. Odi, Tiresia.

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