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Tiresia fu greco e aguro, cioè arte magico di Tebe, il quale, secondo le favole poetiche, alcuna volta veggendo due serpenti congiunti a generare con una verga ispartendo gli percosse, di che egli incontanente di maschio femina divenne. ¶ Onde lamentandosi poi alcun tempo agli Dii di cotale avenimento, da loro per rimedio in cotal modo fu ammaestrato, che una altra volta con la verga ispartire gli dovesse.

Il quale così nel primo modo facendo nel suo primo virile stato divenne; per la quale trasformazione da Giove e da Giunone sua moglie ancor favoleggiando, alcuna volta così fu richiesto, ed essendo l'un coll'altro del diletto carnale in tencione, dicendo Giove che la femmina più che l'uomo di ciò diletto prendea, e Giunone il contrario, e non trovando ragionevolmente chi determinarlo potesse, a lui, perchè maschio e femmina era istato l'uno e l'altro finalmente per tal sentenza si mise; per la quale essendo data contra a Giunone, ella, per vendetta, si come Idea, il detto Tiresia del lume degli occhi incontanente dispose, il quale non possendone da Giove essere atato, perchè, com'egli era, Idea, per grazia e per guiderdone di lui, arte magico incontanente divenne.

Quivi si veggion de le genti tue Antigone, Deïfile e Argia, e Ismene trista come fue. Védeisi quella che mostrò Langia; èvvi la figlia di Tiresia, e Teti, e con le suore sue Deïdamia». Tacevansi ambedue gi

Mira c'ha fatto petto de le spalle: perche' volle veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle. Vedi Tiresia, che muto` sembiante quando di maschio femmina divenne cangiandosi le membra tutte quante; e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne.

Mira c’ha fatto petto de le spalle; perché volle veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle. Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne, cangiandosi le membra tutte quante; e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che rïavesse le maschili penne.

Quivi si veggion de le genti tue Antigone, Deifile e Argia, e Ismene si` trista come fue. Vedeisi quella che mostro` Langia; evvi la figlia di Tiresia, e Teti e con le suore sue Deidamia>>. Tacevansi ambedue gia` li poeti, di novo attenti a riguardar dintorno, liberi da saliri e da pareti;

Omero, il quale pare essere de' piú antichi poeti che di ciò menzione faccia, scrive nel libro undicesimo della sua Odissea, Ulisse per mare essere stato mandato da Circe in oceano per dovere in inferno discendere a sapere da Tiresia tebano i suoi futuri accidenti; e quivi dice lui essere pervenuto appo certi popoli, li quali chiama scizi, dove alcuna luce di sole mai non appare, e quivi avere lo 'nferno trovato.

Simigliantemente d'alcuna donna, figliuola del detto Tiresia nominato qui si ragiona, la quale, essendo il suo padre morto, e veggendo serva la citt

RUFFO. Vi sono andato cercando un pezzo. FANNIO. Addio, Ruffo. Che c'è? RUFFO. Buono. FANNIO. Che? RUFFO. Or lo saperrete. LIDIO femina. Aspetta, Ruffo. Odi, Tiresia.

Ma va' prima presto a casa, per amor mio, e da Tiresia intendi quello che vi si fa. Torna presto; e subito anderemo da Fulvia. FANNIO. Ben di'. Cosí farò. LIDIO femina sola. Oh infelice sesso feminile, che, non pur alle opere, ma ancora ai pensieri sottoposto sei! Dovendo femina mostrarmi, non sol far ma pensar cosa non so che riuscir mi possa. Deh misera me! Che debb'io fare?