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Aggiornato: 21 giugno 2025
Il dí novel che sorge, compiuto forse non sará, che fermo fia d'Ottavia il destino, e appien per sempre. TIGEL. E queta io spero ogni altra cosa a un tempo, ove mostrar pur vogli Ottavia al volgo rea, quanto ell'è. NER. Poich'io l'abborro, è rea, quanto il possa esser mai. Degg'io di prove avvalorare il voler mio? TIGEL. Pur troppo.
Allor per gran dolor quasi rabbioso: Celebino empio, ah rio Macon, dicea; Non Dio, ma se pur Dio, Dio neghittoso, Saziati appien di nostra angoscia rea; Il ferro intanto di ferir bramoso Verso la fronte al gran guerrier scendea Folgoreggiando; ma su l'elmo al fine Non resse in penetrar tempre divine. In mille scheggie se ne va qual vetro.
E tu, schietta e magnanima Quirina, Che appien di lui pur conoscesti il core, Meco ogni dì il rammenti alla divina, Infinita piet
NER. Mostrar quant'io l'apprezzi spero, in breve; ma a questa Idra rabbiosa lasciar niun capo vuolsi: al suolo appena trabalzerá l'ultima testa, in cui Roma fonda sua speme; e infranta a terra, lacera, muta, annichilata cade la superba sua plebe. Appien finora me non conosce Roma: a lei di mente ben io trarrò queste sue fole antiche di libertá.
Non mento, Irene, i Rodïan dolori Con altra prova affermeran mio detto; E tu ben lunge da gli umani errori Discerni appien quanto richiudo in petto; Sì dice; e va dove i notturni orrori Suoi Sultana passar sovra aureo letto; Ivi seco disfoga i casi amari Finchè l'ore notturne il sol rischiari.
Non del tuo trono, io sol di te fui presa, ahi lassa! e il sono: a me lusinga dolce era l'amor, non del signor del mondo, ma dell'amato mio Neron: se in parte a me ti togli; se in tuo cor sovrana, sola non regno, al tutto io cedo, al tutto io n'esco. Ahi lassa! dal mio cor potessi appien cosí strappar la immagin tua, come da te svellermi spero!...
Ma de' templi alla mistica dolcezza Vinto non era appien l'orgoglio mio: Il passo indi io traea con leggerezza, E i gravi intenti rimettea in obblio: Rossor prendeami appo colui che sprezza Chi, pari al volgo, osa implorare Iddio: Io mi volgeva a Dio, ma come Piero, Interrogato, ahi! rinnegava il vero!
Con grave e lunga pena io t'acquistava; or debbo travagliarmi in serbarti: il sai, che a costo anco del trono, io ti vo' mia... POPPEA Chi tormi a te, chi 'l può, se non tu stesso? è legge ogni tuo cenno, ogni tua voglia in Roma. Tu in premio a me dell'amor mio ti desti, tu a me ti togli; e il puoi tu appien; com'io sopravvivere al perderti non posso.
Di Maria, che in orribile abbandono Indicibil, divin serba decoro, Di Maria che, abbracciando il morto Figlio, Frena le amare lagrime in sul ciglio! Fra gli sparsi tempietti si divelle, Qual tra la prole sua la genitrice, Qual magnifica luna infra le stelle, Sommo Tempio che al loco appien s'addice.
Lascia ch'opri in lui quel suo innato rancor cupo, giunto al rio nuziale odio primiero. Questo è il riparo al comun nostro danno. POPPEA Securo stai? non io cosí. Ma il franco tuo parlar mi fa dire. Appien conosco Nerone, in cui nulla il rimorso puote: ma il timor, di', tutto non puote in lui?
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