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Aggiornato: 24 maggio 2025
Non appena infatti avevano i baldi giovani depositato alle proprie loggie l’armatura e le armi, che i più, ripreso il saio e la cappa, si davano a raccorre le apprestate corone; e ciascuno alla casa della fanciulla che più gli aggradiva, dove non l’avesse fatto sull’alba, si recava ad appendervi il maio fiorito.
Di queste ultime sono quella di Naretti e la nostra; all'interno però tutto quello di più rozzo che si possa immaginare; di serramenti non se ne parla, chè non li possiede che Naretti perchè se li fabbricò lui stesso; per porta abbiamo un telaio di canne; il soffitto sono tronchi d'euforbia uno presso l'altro e ricoperti di terra; le pareti, ad una certa altezza, adorne di una sequela di corna da bue conficcate nel muro, che servono per appendervi la nostra roba e sono l'unica mobiglia della casa; dell'erba sul suolo ci fornisce il letto, le nostre casse sono sedie e tavolini.
Appressatosi al sepolcro per comporre in un solo pensiero le tutelari imagini della morta e della lontana, i suoi occhi furono percossi da un bagliore. Sul muro funerario, accanto agli scheletri delle ghirlande votive che era venuto altre volte ad appendervi, una grande corona candida abbagliava come un'aureola. Non era intessuta di fiori, ma di bianche stoffe e di fili d'argento: una mano sapiente aveva piegato il raso bianco, i merletti bianchi, i veli bianchi, in modo da raffigurare petali nivei e foglie spumose. La sua confusione dinanzi a quel voto durò un attimo; per un attimo, pensando che nessuno al mondo fuorchè egli stesso aveva amato la morta, lo stupore, l'ignoranza dell'affetto dal quale veniva quel voto lo lasciarono perplesso e ansioso. Comprese come alla luce d'un lampo. Certo che nessuno fuorchè la creatura d'amore era potuto venire ad appendere quella corona votiva, le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi, inesauribili. Beatrice secreta, consolatrice pietosa, egli la riconosceva al pensiero d'amore che l'aveva nascostamente guidata dinanzi a quella lapide, al pensiero d'amore che le aveva fatto intrecciare quella ghirlanda. Le ossa della sorella morta avevano dovuto tremare, quando la pietosa mano aveva appeso la bianca ghirlanda! Tremando egli piangeva di gioia secreta, di gratitudine effusa, di timida speranza. Egli dunque viveva nella memoria, nel cuore di lei! Quando ancora chiedeva a sè stesso quali ricordi aveva lasciati alla lontana, quando dubitava d'esser rammentato da lei, ella aveva sposato la sua religione del sepolcro! Fissando lo sguardo velato alla corona luminosa pareva a lui che per un nuovo prodigio la sorella morta esprimesse i sentimenti dai quali egli era invaso; come oltre lo spazio ed il tempo il pensiero della lontana arrivava fino a lui, così oltre la vita l'anima della sorella parlava, ripeteva il consiglio che egli aveva udito altra volta: «Ama e vivi, credi e vivi, spera e vivi.» Presentendo di adunare in uno stesso quadro le imagini belle, egli le vedeva tenersi per mano, venirgli incontro raggianti. La lontana aveva tratto dal sepolcro la morta; i due fantasmi vivevano d'una stessa vita sovrumana, intangibile. Ma sopra la meraviglia beata e l'estasi trepida e la grata fede, un sentimento di secreta ambascia gli stringeva il cuore pensando che nessuna parola mai avrebbe potuto significare alla creatura vivente l'impeto di devozione, il bisogno di genuflessione che lo piegavano. Prendere genuflesso la mano di lei, baciare la mano che aveva intessuta la corona virginea, ciò solo egli poteva. Ma gli sarebbe bastato? Tutte le cose dolci che s'agitavano in lui non lo avrebbero soffocato? E al pensiero d'amor puro dal quale era stata guidata dinanzi a quella tomba avrebbe egli risposto confessando un amore esigente, un lesivo amore? Non voleva egli ora averla per sè, tutta, ora che la sapeva sua nella fraternit
⁸² Hager, Gemälde von Palermo, pp. 85, 91. Berlin, 1799. E Galt, con particolari del tutto nuovi, raccontava agl’Inglesi che in Palermo gli spettatori più astuti portavano in tasca dei punteruoli, che, entrando in teatro, piantavano dietro le spalliere delle sedie innanzi a loro come per caviglie per appendervi i cappelli. A nessuna donna era permesso sedere in platea.
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