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E per salvarsi da quel pensiero, ne evocò un altro, non mai completamente abbandonato per l'addietro, un pensiero che l'aveva agitato sin da bambino, quello di fuggire con Mia, d'andar lontano lontano. Così non saprebbe nulla, non vedrebbe nulla se.... caso mai!... Lasciò la scuderia, e si diresse verso il suo antico alloggio.

Allora, per sottrarsi a quella terribile visione, evocò altri ricordi. Rivide l'isola di S. Stefano, le figure più spiccate de' compagni d'ergastolo, e tra quelle, in un gruppo a parte, schivi d'insozzarsi al contatto di que' miserabili con cui l'accumunava indegnamente il governo borbonico, i detenuti politici Silvio Spaventa, Luigi Settembrini, Gennarino Placo.... Era stato Gennarino Placo, che, scorgendo forse in lui un cuore non corrotto del tutto, l'aveva preso a benvolere, ne aveva voluto conoscere le vicende, gli aveva parlato di morale, d'onest

È allor ch'io medito dei melanconici Miei versi il flebile metro!... Di lagrime Un vel m'intorbida l'occhio languente; Allor, dolente D'inconsapevoli mali, di squallidi Giorni d'angoscia sento il presagio; Ricordo i rantoli dei moribondi, Penso ai profondi Misteri, ed évoco mille fantasimi Torvi, ed enumero tutte le noje, Tutte le ambascie, tutti i sospiri, Tutti i deliri,

Non so, rispose vagamente, non so. Ascolta, riprese dopo un silenzio penoso, ascoltami, poichè ti dirò quello che non dissi a nessuno. Ti spiegherò quale è il cruccio della mia esistenza; quale è la rovina del mio ideale d'artista. Senti. Per me il sogno di quello che scrivo, è così vero che è come la vita. Attorno a me i miei eroi esistono. In me, con me, per me, esistono le mie donne. Io le evoco, esse vengono. Le ho create io, sono vita mia, forma mia, mi appartengono, mi vogliono bene, lo le amo senza confine, senza misura, con la più cieca passione, io le amo. La mia innamorata non è Rosina che tu conosci, è Fulvia di cui io sono il creatore ed io l'amante. Fulvia figura ideale, più donna per me di Rosina. Io scrivo la loro storia, preso da una emozione che mi affoga, come se narrassi la vita dell'essere che adoro. Scrivo, scrivo, felice, entusiasmato di far sapere al pubblico la loro bellezza ed il loro amore, esaltato all'idea che queste divine creature faranno palpitare altri cuori. Altri come me le ameranno, queste fanciulle celestiali ed amorose, queste donne passionate. Io provo il piacere più profondo che sia dato provare allo spirito umano. Ma quando la loro vita declina, un'angoscia sottile mi vince; io le amo, non posso vederle declinare; quando sono prese dalla malattia per cui debbono morire, io le amo e mi lascio invadere dalla malinconia; quando esse precipitano alla catastrofe in cui debbono perire, io sono assalito dalla disperazione, perchè le amo. Poi, dovrebbero morire, mentre io le amo. Io, che le amo, dovrei ucciderle. Brevemente o lungamente dovrei descrivere la loro agonia e poi ammazzarle. Non posso. Il cuore mi si strazia e non posso. Mi par di uccidere, a tradimento, una persona viva e sana; mi pare di affogare, in un cantuccio oscuro, una donna senza difesa: mi pare di scannare, di notte, un bambino. Non posso ucciderle. Perchè dovrei uccidere l'amante che è bella, che è buona, che non m'ha tradito? Io non posso. Ho orrore di me e non posso. Aspetto, penso, rifletto, mi torturo. L'arte mi dice: Fulvia deve morire. Ed io le grido, piangendo: Non voglio che essa muoia! L'arte mi dice: Uccidila. Ed io mi consumo di dolore, gridando: Non posso, perchè l'amo. Io aspetto: aspettazione tormentosa. Nulla appare. Allora io salvo la mia creatura agonizzante nel modo meno artistico, più volgare che sia. Ella vive, io moro. Non è ridicolo ciò? Ma è straziante. Queste adorate figure che io non so uccidere, uccidono in me tutto: la felicit