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Mesta, pensosa, i rai Al suol la bella affisse, E sospirando disse: «Crudo è il tuo fato inver! «Pure il mio cor giammai «Non fia che muti tempre, «Giuro di amarti sempre, «Ma sposerò un droghierD'Erminia la casetta Presso la mia sorgea; All'alba ella schiudea Le imposte del veron. Sempre alla sua stanzetta Era il mio sguardo fiso, Sognavo il paradiso Della sua voce al suon.

Ma son costor le stelle tutte e i Soli, Che ad onor de lo strano Ospite accolse Dentro al suo tempio la gentil Carìte? Così non piaccia al dio, che l'arte e il nome D'Ausonia ha in cura! Fra cotanta luce Non splende Olimpio ancor, colui non splende, Che, la fiera spregiando arte dei padri Che tutta chiusa nel vergineo peplo Rigida custodía l'are di Vesta, Una discinta Maddalena adduce A susurrar detti svogliati e strani Per le tiepide alcove, o a tesser balli Vertiginosi fra le nubi, e un'onda Versar quinci di nenie e di sbadigli Sopra a le folleggianti anime umane. Ecco, ei viene, ei risplende. Altero e bello Ne la modestia sua con misurato Passo s'inoltra; e, benchè svelto e lieve Scivoli sovra i piè, pur non sostenne L'arguto calzolar, ch'ei non proceda Senza un qualche rumor; però ch'ei volle Sotto al tornito stivaletto, a cui Ròdope stessa invidierebbe, un nido Porre di crepitanti e scricchiolanti Genî, che possan dire anco ai lontani: Ecco il nume, adorate! In simil guisa Da l'Olimpo al boscoso Ida venía Il saturnio signor, quando a l'incontro Dolce ridente gli schiudea le braccia La placata consorte, e sotto al passo Gli stridean le selvagge aquile e il fascio Dei serpeggianti folgori. A la soglia Fermasi un tratto; la sottil mazzetta Palleggia, ed il sereno occhio d'intorno Muove in cerca di lei, vergine o sposa, Donna o dea, ch'ai suoi lauri un qualche intrecci Gentil fior di pensiero, e stilli unguenti Sopra le nevi del ben culto crine. Bice è l