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Alla st. 13 dove l'ediz. prima legge trova le piume, la seconda ha invece torna a le piume. Sultana d'Ottoman volta allo scampo Sangario invoca, e gli esecrati incanti; Ei di battaglia a scongiurar sul campo Va i morti corpi, quivi oprar suoi vanti: Surge un estinto nel tracciato campo Degli incantati al suon magici canti; All'annunzio di quello, offre sua vita Per dare al re la bella Irene aita.

Tacquesi a tanto; e la reina allora Con sembiante gentil grazie gli rende, E fra nobili detti, onde l'onora, D'alte promesse a caricarlo prende; Ma Sangario col

Perchè cotanti guai? mira, Sultana, Che di troppo spavento empi i pensieri; Se da Sangario vien fama non vana Sottrarremo Ottomano a' casi fieri, Che per farti felice alto diletto Sarammi il sangue riversar dal petto.

E ciò stesso diciamo della seguente: vassene Sangario a cercare un morto nel luogo dove il avanti s'era combattuto; il Poeta parla di sentinelle, che guardassero il campo; cosa troppo contraria alle regole di buona guerra. Si potrebbe rispondere che i Turchi d'allora non sapevano, o non curavano tutte le minutezze della nostra disciplina militare; ma sarebbe risposta da non farne conto; perciocchè i Rodiani, specialmente essendo smantellata la citt

Tepido ancora, e de le piaghe molle Era il bel corpo, e sanguinava il lito, Quando tra forti turbini s'estolle Ed a gli amici sguardi ecco è rapito; Froda fu di demon, che mostrar volle Esser l'atto terribile gradito, E che s'era adempiuto il fier decreto, Ed il cor di Sangario indi fu lieto.

E pur Sultana in quel notturno orrore Con fervido pensier cerca ogni strada Perchè tra gli aspri assalti il suo signore Soverchio ardito in guerreggiar non cada: De gli annunzj del Ciel prende timore, E teme d'AMEDEO l'invitta spada. Così molto rivolve il cor dolente; Al fin Sangario le ritorna in mente.

Movi, Sangario, e ne l'orribil sorte Salda la fede, e l'arti tue sian pronte; Ed imprimi quei segni, onde sei forte Scotere i campi, e di Cocito il fonte; Rimira, ch'Ottoman sen corre a morte: Deh togli a l'Asia e le miserie e l'onte, E ti caglia di me, cui si riserba Più ch'ad altro mortal miseria acerba.

Allor Sangario ambe le guancie è tinto D'atro pallore, e le pupille ha rosse; Muto riguarda, e da furor sospinto Calcò pria lo scannato, indi il percosse Con le vipere ree, che 'n man stringea, E con gridi, e latrati alto dicea: XXIV

De l'umano passaggio i son corti; Solo n'eterna, e ne mantien virtute; Vivete lieti, e ne i maggior conforti Me rammentate, onde vi vien salute. Sultana a quel parlar sembianti smorti, Occhi avea tenebrosi, e labbra mute, Venuta a men nel duol che la trafisse, Allora Irene in ver Sangario disse: XLV

Sangario volto a que' begli occhi aspersi Di caldo pianto, ch'a pietate invita, Rispose: quando a' Rodïan dispersi Cantò la fama, che verrebbe aita, Io con gli studi miei l'alma conversi A bene esaminar la voce udita, Saper bramando qual nemico fosse, Che da lunge i nostri cor percosse.