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Ebbene Giuliano, e questo è uno dei tratti più singolari del suo tentativo, volendo fare della sua religione un istituto moralizzatore, volle, egli pure, separarla dallo Stato, e tentò di organizzare una vera Chiesa politeista, la quale fosse maestra ed esempio di dottrina e di virtù. Noi abbiamo veduto, nell’analisi delle istruzioni date da Giuliano a personaggi cospicui di quella sua Chiesa, come l’organizzazione formasse una delle principali sue preoccupazioni, ed a quali sottili cure e provvedimenti egli sapesse discendere. Dicemmo anche che, per la purezza delle intenzioni e per la natura dei consigli, ch’egli dava ai suoi sacerdoti, relativi alla condotta ed alle abitudini che avrebbe desiderato vedere in essi, le lettere di Giuliano potrebbero considerarsi come pastorali di qualche vescovo cristiano che s’ispirasse agli ideali dei primi tempi, e produce un ben curioso effetto il sentirvi, talvolta, un’eco genuina di quello stesso Vangelo che Giuliano così cordialmente disprezzava. Egli voleva propriamente fondare sulla santit

L’infelice Giuliano nella sua breve carriera, preparava a stesso un doloroso disinganno. Egli doveva, ben presto, persuadersi che tutti i provvedimenti, da lui escogitati, non riuscivano allo scopo che tanto gli stava a cuore. La propaganda politeista, sebbene voluta e diretta dall’imperatore stesso, non aveva che scarsissimi risultati. Il mondo anche l

In questo nostro studio, noi cominceremo col dare una rapida occhiata alla vita di Giuliano. Poi esamineremo l’ambiente religioso e filosofico in cui venne a trovarsi. Ci fermeremo più a lungo sull’impresa da lui tentata di restaurare il culto politeista e le antiche idee religiose.

Il passaggio di Giuliano sul trono imperiale fu la comparsa di una meteora luminosa che, appena accesa, si è spenta. Egli, quindi, non ebbe il tempo di lasciare, nei fatti e nelle cose, l’impronta duratura della sua azione. La sua memoria non vivrebbe che nella caricatura che ne hanno disegnata gli scrittori cristiani, e parrebbe quasi che l’opera sua si fosse limitata alla guerra contro il Cristianesimo e ch’egli fosse un uomo odioso e vituperabile, se non ci fossero rimasti i suoi scritti che sono lo specchio genuino del suo carattere, delle sue intenzioni, delle doti e dei difetti del suo spirito eccelso. È vero che noi abbiamo in Libanio ed in Ammiano Marcellino le prove dell’ammirazione che Giuliano aveva destata nei suoi contemporanei. Ma Libanio è sospetto, perchè troppo interessato e compromesso nell’impresa della restaurazione politeista, e Ammiano Marcellino non ha autorit

Qui il frammento s’interrompe, ma è ragionevole la supposizione che una qualche frase, ora perduta, lo unisse al testo che abbiamo più su analizzato. Ritorneremo su questo frammento, quando avremo guardato il terzo dei documenti relativi all’organizzazione della Chiesa politeista, ma notiamo subito come qui si ritrovi, in tutta la sua forza, l’espressione della simpatia che Giuliano nutriva per gli Ebrei. Abbiamo gi

Ora, è chiaro che le invettive e le maledizioni della Chiesa non tolgono che, nell’imperatore Giuliano l’uomo e l’azione siano singolarmente interessanti. Non vi può essere studio storico più attraente del ricercare le origini, le cause, le conseguenze della restaurazione politeista a cui il giovane imperatore ha posto mano. Quelle invettive e quelle maledizioni non possono nascondere il vero a chi appena guardi la storia e i documenti; e il vero è che Giuliano fu un uomo per eccellenza geniale, un uomo che, dopo aver passate l’adolescenza e la giovinezza immerso negli studi, da cui, ad ogni istante, lo distraeva l’aspettazione di essere trucidato ad un cenno dello scellerato cugino che sedeva sul trono imperiale, investito, improvvisamente, di un supremo comando militare, in una posizione che pareva disperata, si rivela, in breve tempo, generale di altissimo valore, e conduce una campagna meravigliosa, coronata da splendide vittorie. La sua vita pubblica è chiusa nel breve ciclo di otto anni, dal 355, l’anno in cui è mandato nelle Gallie a fronteggiare le invasioni germaniche, al 363, l’anno in cui cade sul campo di battaglia combattendo eroicamente i Persiani. Questi otto anni furono tutti spesi in una vita agitata, piena di avventure e di preoccupazioni amministrative e militari. Eppure, il giovanissimo imperatore, che doveva morire a trentadue anni, non abbandonò mai i suoi studi, non interruppe mai la sua attivit

Giuliano non fu lasciato che pochi mesi ad Atene, ma questi pochi mesi hanno avuto, come lo affermano i suoi contemporanei, una grande influenza sull’animo suo. Egli teneva ancora celate le sue convinzioni religiose, ma ciò non gli impediva di infervorarsi negli studi ed anche nella conoscenza dei Misteri, che costituivano il principale atto di culto di quel simbolismo politeista di cui Giuliano voleva fare la religione del mondo. Eunapio, Socrate e Sozomene insistono tutti sull’importanza che ebbe, nella vita di Giuliano, la sua dimora in Atene. Ma i due narratori più autorevoli ed interessanti sono, come sempre, Libanio e Gregorio. Libanio dice che, presentatosi Giuliano ai professori di Atene, e offertosi ad un esperimento, si trovò che ne sapeva più dei maestri, così che «solo di tutti i giovani che accorrevano ad Atene, ne ripartiva, avendo insegnato più che imparato. Pertanto si vedevano continuamente intorno a lui degli sciami di giovani, di vecchi, di filosofi, di retori. A lui guardavano anche gli dei, ben sapendo ch’egli avrebbe risollevato il patrio culto. Quando parlava era, insieme, ammirabile e modesto, poichè, checchè dicesse, subito arrossiva. Di questa sua mansuetudine tutti godevano, e i migliori traevano profitto dai suoi insegnamenti. E il giovinetto aveva intenzione di vivere e di morire in Atene, e ciò gli pareva il colmo della felicit

Ma, quando, svanita ogni illusione di accordo, Giuliano si gettò nell’avventura, che doveva parer disperata, di marciare contro Costanzo, egli depose la maschera, e, risoluto di giocare il tutto pel tutto, si rivelò restauratore della religione antica. Non è ben chiaro ch’egli facesse atto pubblico di fede politeista, prima della sua partenza dalla Gallia, ma, durante il viaggio dalla Gallia a Sirmio, diede apertamente, con una certa ostentazione, alla sua spedizione il carattere di un’impresa posta sotto il patrocinio degli dei. Giuliano stesso ce lo dice, in una lettera da lui diretta al suo venerato maestro, il filosofo Massimo, e scritta, appunto, mentre egli era in marcia verso i Balcani. In mezzo alle cure urgenti da cui è premuto, Giuliano è grato agli dei che gli permettono di poter scrivere a Massimo, e che spera gli permetteranno di rivederlo. Egli protesta, e chiama in testimonio gli dei, di esser diventato imperatore contro la sua volont