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Uop'è che i genitor la prole estime, Perchè non da piaceri o sete d'oro O bassa invidia spinti unqua li miri, Ma da pii, generosi, alti desiri. Gemer che val che nostra et

Arder nel fuoco e far dal fuoco uscire Una fiammante idea, gemer in croce E dalla croce il mondo benedire Come Gesù colla morente voce, Questa che il cor distrugge od affatica Od altra ancora più nemica sorte Ti salvi dal languir misera ortica, Non morto, no, ma segno della morte.

E Nicla seguitò: Ti ridiranno il gemer de la rosa Che di desìo su 'l tuo bel petto manca, E gl'inni, nel tuo crin, de la fastosa Sorella bianca. Poi nosco ti addurrem ne le fulgenti De l'ametista grotte e del cristallo, Ove eterno le forme e gli elementi Temprano un ballo. Bruno ascoltava senza più respiro.

E il tuo libro d'amore isconsolato, Benchè riscosso immensi plausi avesse, Benchè da te qual prima gloria amato, Bench'opra non indegna a te paresse, Talor gemer ti fea, ch'avvelenato Un sorso gioventù quivi beesse D'ira selvaggia contra i fati umani, Ed idolo Ortis fosse a ingegni insani.

Altri il fianco ristoppa alle sdruscite Navi, e sarte rintegra e monche antenne E lacerate vele..... Per le vie Brulicanti frattanto e per le prode Tale un gemer di rote, un incessante Ire e redir di ciurme e di soldati, D'armi, di carri e di navali arnesi, Che l'udire e il veder mettean nell'alma Diletto e meraviglia. MONTI. Il Bardo, C. III.