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Era l'inno che il trovatore sposando la voce al suono dell'armonica arpa fea echeggiare nella valle Borgoratto, il che il Signore di quella menò la figlia dei principi al patrio talamo dai Liguri monti.

Ma il giorno del Signor rivedea alfine, E mettea lieto suon la pia campana, E a söavi pensier l'alme fea chine, E a ricordanze dell'et

Come esclamò che il rimordeano l'ore A gioie, a larve, e non sacrate al cielo! Ah, que' detti m'affidano, e m'affida La tua clemenza, e lui beato io spero! Ma se ancor dolorasse, odi mie grida, Aprigli i gaudii del tuo santo impero. Debitor fui di molto a Lodovico: Sprone agli studii miei si fea novello; Ai dolci amici suoi mi volle amico, E più al suo prediletto Emmanuello .

Spegni tu l'empio, o Micalogle, e scorno Fa poi col ferro a quei suoi membri spenti; Se fai col duro teschio a lor ritorno, Stella sarai fra le paterne genti. gonfio d'ira ei fea volare intorno Per sua vendetta gli animosi accenti; Micalogle ad ascoltarlo è tardo, Che tende l'arco e fa volarne il dardo.

Rodi fulgida d'or, nudrice antica D'alme guerriere, e al cui superbo grido Non reggeva giammai forza nemica, Ove ogni industria, ogni valor fea nido, Sparsa è per terra; ed avverr

Conosco lui, le spoglie onde egli è adorno; Ho contezza de l'armi, onde risplende, E so, dove poc'anzi ei fea soggiorno, E col

Così diceva, e con la donna a lato, Ove la gente combattea s'invia, E gli occhi volge ad ogni duce armato, Ed armi e spoglie fissamente spia; molto va, che 'l cavalier cercato Da lunge scorge; ei coraggioso apria Folto stuolo de' Turchi, e si fea strada A somme glorie con la nobil spada.

E il tuo libro d'amore isconsolato, Benchè riscosso immensi plausi avesse, Benchè da te qual prima gloria amato, Bench'opra non indegna a te paresse, Talor gemer ti fea, ch'avvelenato Un sorso gioventù quivi beesse D'ira selvaggia contra i fati umani, Ed idolo Ortis fosse a ingegni insani.

Chi nol vide tremar dell'abborrita madre? di me tutto egli ardea; pur farmi sua sposa mai, finch'ella visse, ardiva? col sol rigor del taciturno aspetto Burro tremar nol fea? non l'atterrisce perfin talvolta ancor, garrulo, e vuoto d'ogni poter, col magistral suo grido, Seneca stesso? Ecco i rimorsi, ond'io capace il credo. Or, se vi aggiungi gli urli, le minacce di Roma...

Ma in tua corte neppur misera appieno farmi tu puoi, se col mio mal ti appago. Or, di': sei lieto tu? placida calma regna in tuo core? ad altra sposa al fianco, securo godi que' tranquilli sonni, che togli altrui? Quella Poppea, che orbata d'un fratello non hai, piú ch'io nol fea, ti fa beato? NER. In quanto pregio debba il cor tenersi del signor del mondo, mai nol sapesti; e il sa Poppea.