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Ma tempo è ch'anco di Grifon favelli, il qual dal compagno d'altrui temendo inganno, addormentato s'era, mai si risvegliò fin alla sera.

Nelle tue parole è contradizione manifesta. Ros. No, Alfredo; a te sembra.... a te. Ahimè! sappi che in verun luogo io corro tanto pericolo quanto in questa casa. Alf. Che favelli? qual mistero è questo? Ros. Il tempo stringe: domani sarò sposa. Alf. Tu? tu sposa? vaneggi! Ros. Compiangimi: il mio carnefice.... colui cui sono promessa è.... Alf. Chi mai? Ros.

Al qual tutto è ottimamente conforme il libro presente: percioché egli incomincia da' dolori e dalle turbazioni infernali, e finisce nel riposo e nella pace e nella gloria, la quale hanno i beati in vita eterna. E questo dee poter bastare a fare che cosí fatto nome si possa di ragion convenire a questo libro. Rade volte avviene che l'uomo contro alla sua professione favelli.

E ancora, quantunque alla Sacra Scrittura del tutto agguagliar non si possa, se non in quanto di quella favelli, come in assai parti fa, nondimeno, largamente parlando, dir si può di questo, quello esserne che san Gregorio afferma di quello: cioè questo libro essere un fiume piano e profondo, nel quale l'agnello puote andare e il leofante notare, cioè in esso si possono i rozzi dilettare e i gran valenti uomini esercitare.

Marzio, mentre io era in carcere, mi raccontò la pietosa strage della fanciulla di Vittana... Che? Come? Cosa favelli? Quando mi teneste chiusa in prigione nel sotterraneo del palazzo di Roma, Marzio mi espose la morte di Annetta Riparella di Vittana... Avanti...

E percioché questa è la primiera volta che di questa donna nel presente libro si fa menzione, non pare indegna cosa alquanto manifestare di cui l'autore, in alcune parti della presente opera, intenda nominando lei, conciosiacosaché non sempre di lei allegoricamente favelli. Fu questa donna maravigliosamente amata dall'autore.

Poi comincio`: <<Tu vuo' ch'io rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme gia` pur pensando, pria ch'io ne favelli. Ma se le mie parole esser dien seme che frutti infamia al traditor ch'i' rodo, parlar e lagrimar vedrai insieme. Io non so chi tu se' ne' per che modo venuto se' qua giu`; ma fiorentino mi sembri veramente quand'io t'odo.

Per Dio che tutto vede e tutto sente, Pel tuo bieco passato, Per questa vita mia breve e morente Non ribellarti al fato; Lasciami e scorda. Oh, nulla ti trattenga: Favelli in te l’orgoglio. Vano ricordo io pel tuo cor divenga...» Egli disse: «Ti voglioInutilmente in quel desìo raccolto Infatti egli restò. Ma ancora, ancor gli sibilo sul volto: «Che fai? che aspetti?... No!...»

Di vane inquïetudini mi rodo, Se a me incessantemente non favelli, E ai vili penso, e d'abborrirli godo. Ottienmi ch'io perdonar sappia ai felli, Ed opri ognor secondo te, secondo L'orme de' miei più nobili fratelli. Gareggia cogli altr'Angioli che al mondo Offron nelle guidate anime forti D'ardue virtù spettacolo giocondo.

I convenuti s'ingegnano a tenere vivo il colloquio, ma soventi accade che la proposta rimanga senza risposta, e poco si prolungano i dialoghi penosi: il sollazzo diventa fatica; ognuno di loro desidera starsi solo in colloquio con l'anima sua; ma fatto silenzio, della propria solitudine impauriscono: allora si ode fragoroso lo spensierato folleggiare dei fanciulli, e rabbrividisce come uno scoppio di riso tra i funerali, sicchè ritornano con favelli scomposti a divertire l'affannato pensiero.