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Si stringe intorno a Roma la fiera cintura di ferro e di fuoco, e il nemico moltiplica le artiglierie a porta San Pancrazio, donde si aspetta resistenza maggiore; apronsi finalmente dai Francesi le batterie di Breccia, le rintuzzano i nostri cannoni dai monti Testaceo ed Aventino; rabberciate le Trincee i nemici ripigliano il trarre, il Bastione VI non senza danni pure fa buona prova; tracolla tutto il muro di cortina al bastione VII, ma la terra non gli smotta dietro, anzi rimasta diritta a picco difende, per lanciarvi contro granate punto si smuove. I Francesi accatastando Breccia su Breccia ne costruiscono tre per tempestare il Vascello, la Villa Savorelli, e le case di fianco alla porta San Pancrazio: qui cadde il tenente Cesare Covelli cui il colpo stritolò il braccio; tribolava due giorni, e poi chiuse gli occhi alla vita, non infelice affatto perchè morì nella speranza, che Roma la potesse sgarare contro i Francesi; altri sei artiglieri morirono a un tratto per colpa di una palla, che imboccò dentro la cannoniera; anco il buon Ludovico Calandrelli percosso nel petto da un frammento di ruota ebbe a cessare le difese; chi lo vide mi dice, che portò lungamente la parte lesa nera più che carbone. Il Garibaldi considerando come cotesto Bastione armato di pezzi da campagna mentre al nemico non arrecava danno era causa di lutti deplorabili ordinò lo disarmassero; ed anco dalla Villa Savorelli gli toccava a sloggiare; ormai l'avevano tolta di mira, che non meno di 80 a 90 bombe al ci cascavano dintorno; una entrò in camera al Manara mentre stava facendo colazione, e tu pensa se sobbissassero soffitte, pavimento, porte, e finestre, un'altra fra i cavalli nella stalla di casa e non ne uccise veruno; invece un'altra caduta nella casa attigua ne ammazzò due; con questa pioggia di bombe pure bastava il cuore al Garibaldi di tenere dentro la villa un barile di polvere; per questo ei faceva le viste di andarsene; il giorno seguente le bombe caddero nella stanza dei segretari e ci appiccarono il fuoco, la prossima casa sfasciarono, e il Garibaldi non si decideva; alla fine gli misero in frantumi la torretta, e allora gli fu mestieri ricoverare altrove. vo' tacere come un'altra bomba ruinata fra i galeotti i quali lavoravano alle trincee in un colpo ne ammazzasse sei; di sessanta ormai si trovavano ridotti a quaranta quando supplicarono il Generale gli avventurasse agli estremi pericoli, e premio di tanto fosse la morte onorata, o la colpa espiata, ed ei rispose loro sperassero, intanto continuassero a chiarire il mondo come nocenti cittadini fossero stati contro il prossimo, ma della Patria figli pur sempre: tutti si comportarono da valorosi, taluno da eroe, ed ecco come. Al Garibaldi, che certo giorno visitava le opere condotte da questi sciagurati, uno di essi parlò e disse: «posso io discorrervi? Parlate. Generale, perchè mo' ce lasciate l

Per non dirne altro! Le madri nostre si comportarono degnamente. La patria era in pericolo. Rinunziarono agli ornamenti loro, non pure al superfluo, ma al necessario eziandio; certe che gli uomini non sarieno stati da meno di loro e che, rifiorite le sorti della patria, la legge sarebbe stata cassata. Vent'anni sono trascorsi, e questa bellezza di legge è viva pur sempre.

Nel combattimento del 9 si distinsero il marchese Patrizi comandante la Sezione composta di perugini e di marchigiani che si comportarono da eroi; combatterono da prodi veterani i bersaglieri romani comandati dal Tittoni ed il battaglione della sezione composta di romagnoli; ebbe il cavallo ucciso e riportò ferita il maggiore Diamilla-Muller aiutante di campo del generale Ferrari mentre conduceva al fuoco due compagnie.

In quel fiero combattimento nel quale i bravi Toscani combatterono contro forze tre volte superiori, maggiormente si distinse l'artiglieria comandata dal bravo tenente Nicolini, che vi rimase ferito; gli artiglieri morirono tutti sui loro pezzi, meno uno l'Elbano Gaspari che, aiutato dal bravo Capitano Camminati riusciva a salvare i pezzi che avevano fatto strage di nemici tutto il giorno; anche il Capitano Malenchini cooperò potentemente colla sua compagnia a trarli in salvo; tutti si comportarono con eroico contegno e sopratutto il battaglione universitario comandato dal valoroso Maggiore Mossotti.