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Aggiornato: 16 giugno 2025


Vero è ch'io dissi a voi: Terigi brama averla in moglie; ch'io credo opportuna l'occasion, perché non cerca dote; ma feci solo a voi le cose note. E poiché siamo in su questo proposito, parlerò netto e senz'alcun timore. Questo mio sacro capo vi deposito, Rugger, che a non voler siete in errore. L'usanza è dal passato ora all'opposito.

Particolar invito era a Parigi d'una conversazion famosa appieno, che dava in casa il marchese Terigi alla sua sposa dal viso sereno; e aveva detto a don Gualtier: Dirigi tu la faccenda, e fa' che nulla manchi perché non mi dileggin questi franchi.

Era in casa a Terigi quel meschino; e sentendo del nuovo concorrente, alzò una mano al cielo e il moncherino, e disse: O Cristo, o Cristo onnipossente! Poffare il ciel sacrosanto e divino, che m'abbia a intervenir quest'accidente! Orlando vide, che di passava, e gridò: Che di' tu, conte di Brava?

Questa disuguaglianza è gran peccato e una sopraffazione vergognosa. Quando avrete l'incarco rinunziato, non sará la disfida difettosa; e allora al torrione oltre alla Senna v'attenderò diritto come antenna». Scritta la lettra, diceva Terigi: Non vo' mandarla, grida a tuo talento. Può rinunziare, e allor, per san Dionigi! venga a me l'olio santo pel cimento.

Alfin fu rimenata ben la pasta, per non far troppo lunga la leggenda. Terigi fu contento e non contrasta, Rugger anch'esso par che condiscenda: nel parentado ci fu qualche sciarra, ma il nodo stava in Marfisa bizzarra. Diceva Bradamante al suo Ruggero: Deve ubbidirvi, le siete fratello. Dicea Rugger: Perdio, che mi dispero: dovereste conoscer quel cervello.

Io non so d'invidiar Pulicinella, perch'ogni giorno ha magna udienza. Cosí Dodon per ischerzi favella, e finalmente ha data la sentenza di voler far il libretto a sue spese. Rugger lo ringraziò, ch'era cortese. Terigi intanto s'era apparecchiato a fare una sua visita alla sposa, e un vestito s'è messo ricamato d'oro, che mai si die' piú bella cosa.

Far non avea potuto la raccolta, come dicemmo, e tanto avea seccato il marchese, che alfin pur fece còlta, ed una serenata avea formato, che, per farla cantare, aveva tolta Terigi quella sera a buon mercato: donde a Marco Matteo par esser sopra. Marco era quivi a criticar quell'opra.

Da' Nami avari, dagli Astolfi vani, da' Terigi grossier, dagli Olivieri, da' Rinaldi ebbri, da' divoti Gani, Avini, Avoli, Ottoni, Berlinghieri, e Guottibuossi e Gualtier cappellani, e tante dame e tanti cavalieri che a quelli di Turpino han somiglianza, mi salva: io non ho colpa arroganza.

Marco e Matteo dal Pian di San Michele, ch'eran torrenti della poesia, a don Gualtieri accendevan candele perché Terigi a un d'essi l'ordin dia. A Matteo don Gualtier non fu fedele, e con il patto che divisa sia la mancia tra Gualtieri e il vate Marco, a questo fece rimaner l'incarco.

Quell'altro si togliea spasso con esso, e gli diceva all'opposto in effetto, donde Terigi dava una risposta da far scoppiar dalle risa ogni costa. Tratto fuor da' raggiri del negozio delle gabelle, dov'era molto atto, che non guardava al nimico o al sozio, quando faceva qualche suo contratto; del resto e' si potea lasciare in ozio o con le genti dozzinali affatto.

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