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Ma dimmi, e come amico mi perdona se troppa sicurta` m'allarga il freno, e come amico omai meco ragiona: come pote' trovar dentro al tuo seno loco avarizia, tra cotanto senno di quanto per tua cura fosti pieno?>>. Queste parole Stazio mover fenno un poco a riso pria; poscia rispuose: <<Ogne tuo dir d'amor m'e` caro cenno.

Sol si ritorni per la folle strada: pruovi, se sa; che' tu qui rimarrai che li ha' iscorta si` buia contrada>>. Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel suon de le parole maladette, che' non credetti ritornarci mai. <<O caro duca mio, che piu` di sette volte m'hai sicurta` renduta e tratto d'alto periglio che 'ncontra mi stette,

Solamente colui che si sente solo, che spera in , privato della dileczione della caritá, teme: e ogni piccola cosa gli fa paura, perché è solo, privato di me, che do somma sicurtá a l'anima che mi possiede per affecto d'amore.

LARDONE. Se mi perdonate un fallo che ho commesso in questo fatto, strassinato dalla gola, vi spianarò il tutto in due parole. LIMOFORO. Se dici il vero, ti sará perdonato. LARDONE. E che sicurtá me ne date? ANTIFILO. Io sarò il tuo mallevadore. PEDANTE. Ed io il tuo fideiussore.

«E poi che la sua mano alla mia pose Con lieto viso, ond'io mi confortai». Qui assai manifestamente n'ammaestra l'autore con che viso noi dobbiamo mettere, chi ne segue, nelle dubbiose cose; e dice che dee esser con lieto, percioché dal viso lieto del duca prende conforto e sicurtá chi segue, dove, non avendolo lieto, coloro che a lui riguardano assai leggiermente impauriscono e diventano vili: come noi leggiamo le legioni romane, da' contrari auspizi e dal viso di Flaminio consolo turbato, invilite, da Annibale allato al lago Trasimeno essere state sconfitte.

GERASTO. Che sicurtá? che pentire? che trenta scudi? FACIO. Come trenta scudi? Dico che avendomi promesso... GERASTO. Parole. FACIO....trenta scudi... GERASTO. Se non l'hai meglio di questa,... FACIO....in iscambio delle mie vesti,... GERASTO....tu sei matto da dovero. FACIO....avendomegli promessi dinanzi duo testimoni,... GERASTO. Tu erri in grosso. FACIO....serò atto a farmeli pagare.

CINTIA. Se lasciassi la maschera, ella subito lasciarebbe di amarmi, perché mi riconoscerebbe per quel ch'io sono. BALIA. Ti priega d'un favore: di poterti narrare a bocca, da solo a solo, gli affanni suoi, perché arebbe speranza che ti moveresti a pietá di lei; e per non comportar ciò lo stato d'una donzella, vorrebbe sicurtá da te di non far alcun oltraggio all'onor suo.

E cresceva forte il fuoco del sancto desiderio, in tanto che none stava contenta ma con sicurtá sancta dimandava per tucto quanto el mondo. Come Dio si lamenta de le sue creature razionali e maximamente per l'amore proprio che regna in loro, confortando la predecta anima ad orazione e lagrime.

Per sicurtá dell'uomo e del cavallo, oste, io non pago il conto senza fallo. Manderò poi fra quattro o cinque giorni a levare il cavallo ed il mio servo, ch'io prego Dio che in sanitá ritorni. Il mio dovere a quel punto riservo. L'oste guardava quegli abiti adorni; per soggezion gli tremava ogni nervo: disse che avrebbe perduta la vita, prima che uscir dagli ordini due dita.

Ma dimmi, e come amico mi perdona se troppa sicurta` m'allarga il freno, e come amico omai meco ragiona: come pote' trovar dentro al tuo seno loco avarizia, tra cotanto senno di quanto per tua cura fosti pieno?>>. Queste parole Stazio mover fenno un poco a riso pria; poscia rispuose: <<Ogne tuo dir d'amor m'e` caro cenno.