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Aggiornato: 18 giugno 2025


Attillato com'era e cinto ancora da quell'aureola di gloria pel suo duello fortunato, Ariberti poteva fidarsi di tornare accetto al contino in un colloquio di pochi minuti. Combinatolo proprio in buon punto alla fine del ballo, gli si accostò con quel garbo che seppe maggiore, per fargli certe scuse, a cui mezz'ora prima non pensava punto poco. Signor conte, ho un debito con Lei....

In luogo del timido abatino, i giovinastri si trovarono di fronte al conte di Santasillia, che in barba ai precetti di mansuetudine insegnati in seminario, era fermo più che mai a voler cadere, per quella volta, in peccato mortale, accomodando le partite sul terreno. Presto presto, gli dovettero fare le scuse.

Scuse, pretesti, e non altro. Diffatti, risalendo, egli sentiva il bisogno di aggiungere: Alla perfine, io debbo vederla ancora una volta; anco se trista, ella è pur stata la stella di questa mia vita. Suonò finalmente; ma stettero molto, innanzi di aprirgli, di modo che egli ebbe tempo a pentirsi di essersi condotto a quel punto. Che vado a fare? Ella non si cura di me.

Non chiedo le tue scuse, o Sorcio indiavolato, Quest'oggi non ho nulla a casa mia da fare. Disse a Furietta il Sorcio: Ma come andremo in Corte? Senza giurì giudici? Sarebbe una vendetta! Sarò giurì e giudice, rispose allor Furietta, E passerò latrando, La tua sentenza a morte. "Ella non presta attenzione!" disse il Sorcio ad Alice con tuono severo. "A che cosa sta pensando?"

Il cameriere, aveva alla prima indovinato che la non era una buona mattina; però si tenne cheto, guardandosi dal far le scuse; e lasciò che i venuti si facessero al cospetto del padrone, ciascuno alla sua volta.

Stazza, impiedi davanti alla costui scrivania, si voltò. Mi venne incontro e mi tese le mani. Mille scuse! Ma io non potevo andarmene senza averla salutato. Addio, caro signore... Io me ne vado. Interrogavo con gli occhi il direttore e gli altri miei compagni, che circondavano Stazza, silenziosi.

Dello stupido? oh, diavolo; perdona tanto; grida correndogli incontro e porgendogli la mano; te ne chiedo mille e mille scuse; l'ho detto senza badarci; e poi.... credevo che tu lo sapessi. È lui, che incontrando una signora di sua conoscenza, vestita a lutto per la morte del marito, le chiede, con accento di viva compassione: Vedova? ! il povero Tommaso è morto.

L'ignoto ripetè le sue scuse. Emilia rispose qualche parola, ed allora avanzandosi esso con vivacit

88 L'astrologo tenea le labra chiuse, per non dire al dottor cosa che doglia, e cerca di tacer con molte scuse. Quando pur del suo mal vede c'ha voglia, che gli romper

VIGNAROLO. Che ti ho fatto io? PANDOLFO. Mi dimandi ancor che mi hai fatto? VIGNAROLO. Perché mi volete uccidere? PANDOLFO. Per trarti il cuor dal petto e bevermi il tuo sangue! VIGNAROLO. La cagione? PANDOLFO. Il voler renderti la cagione è un voler tramettere tempo per ascoltar le tue scuse: la cagion è che vo' trarti le budella!

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