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Allora, senza pensare all'aumento di spesa che gl'imponevo, scrissi al babbo quel mio desiderio. Non mi cadeva in mente che lo studio d'un'arte potesse essere questione di denaro. «Il babbo che mi aveva data un'istruzione nell'idea di fare di me un'istitutrice, s'adattò senza difficolt

Quando si fece tardi, e stavamo per congedarci, io e tutti gli altri che eravamo a far la corte a Fulvia, ridistesi accuratamente quel cencetto di carta, e sotto il nome della giovane scrissi in caratteri microscopici Massimo Guiscardi. Poi le misi dinanzi quel documento e le dissi con un'aria da oracolo: «GuardiEbbene, non vedo nulla! mi rispose.

Ed io corsi subito a casa, e presa la penna scrissi: «Al chiaror della luna, quando il suono Dell'armi, nel vicino castel, chiama I guerrieri, vien, mio diletto, involto Nel tuo bruno mantel, che mi rammenta I segreti misteri della notte

Cominciai a scrivere per il teatro ed i giornali. Nell’89 mi ammogliai ed ora ho tre figli: un maschio e due femmine. Durante il mio viaggio in Ispagna nel 1891, la Neue Freie Presse mi propose di diventare suo corrispondente da Parigi. Scrissi l

«Si ricorda, quando le scrissi che volevo farmi monaca?... Per fortuna che la mia cara Madre Superiora mi consigliò di aspettare per provarmi la vocazione! Ora m'avvedo che avrei fatto un grande sbaglio! Ma allora m'era venuta quest'idea perchè avevo visto a morire la mia povera compagna Giulia Ferranito (ah! che dolore fu quello per me), e la mia cara amica Teresa Reccadei era uscita di collegio, e avevamo avuta in convento la vestizione di Maria San Fermo; cerimonia che mi aveva fatto un grandissimo effetto. A dir vero, avevo anche un altro motivo, ma quello non l'ho mai detto. M'era venuta una gran malinconia, perchè al giovedì tutte le altre allieve eran chiamate in parlatorio, e per me non veniva mai nessuno, mai nessuno! In quel giorno non facevo altro che piangere, e quando le mie compagne tornavano dalla grata e venivano, allegre, contente, a raccontarmi certe novit

Tocchi dunque! diceva quindi con voce concitata il dottor Topler: beva dunque! Non potevo vedere a chi parlasse; ma non era difficile immaginarlo. Dio, come Violet doveva soffrire, com'era doloroso e dolce per me di sentirlo! Scrissi presto i versi cui nessuno poteva intendere tranne lei. Si volle ad ogni modo che io li recitassi; si era curiosi della loro musica.

Per tutto questo, benchè mi paresse cosa disonesta ed audace rivolgere dirette e vere parole d'amore a donna che apparteneva ad altro uomo, pure la passione vinse e scrissi. Timidezze dei venti anni!

Non ci avevamo scritto che poche lettere la nostra vita intima ci era ignota a vicenda. Pure Eugenio aveva un cuor buono, e in quelle giornate di solitudine, sconfortato dei miei affetti, timoroso di vedere distrutte le ultime corde armoniose del mio seno, pensai a lui con desiderio, e gli scrissi con abbandono.

Meditai, cercando la solitudine, e scrissi appoggiandomi al muro di un cimitero. Guardando il cielo fra i neri boschi e sorridendo nell'azzurro alle larve della fantasia, io credetti d'avere pensato a qualcosa: contemplando le croci del tristissimo campo, m'accorsi che i miei pensieri furono deliri di mente malata. Tutto finisce! E che rester

Infine mi tocca a far menzione di una grave quistione: quella della degenerazione nel lavoro duro e precoce dei carusi. Altra volta scrissi che dai resoconti del generale Torre non si poteva assodare se il lavoro delle miniere deformasse i carusi.