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Aggiornato: 11 luglio 2025
Bortolo, anni 1 di detenzione e L. 1000 di multa Romussi avv. Carlo, direttore del Secolo, anni 4, mesi 2 di reclusione e anni 1 di sorveglianza Lallici prof.
Ci portava alla mattina una minestra per venticinque centesimi, la quale, in galera, potevamo dire buona e delle porzioni di gnocchi di patate che mandavano in visibilio Romussi. Neanche la mia cuoca saprebbe cucinarli così bene!
Accompagnati da molti carabinieri, si fecero passare in mezzo a due file di soldati e salire per le scale anguste, al primo e al secondo piano, disperdendoli per gli stanzoni anticamente occupati dalla Corte degli Sforza. Lungo la ringhiera del primo piano, avevano messo Chiesi, Seneci, Cermenati, Federici, Valera, Lallici, Ghiglioni, Romussi.
C'era dunque qualcuno che pensava ai poveri diavoli che soffrivano. Romussi, interpretando il pensiero di tutti, con una voce che avrebbe impietosito i sassi, disse: Se ci potesse dare una gasosa! Lo sconosciuto ci rispose con dei singulti. Era troppo tardi. Il ristorante era chiuso e il treno stava per partire. Addio e coraggio! ci disse lo sconosciuto con degli altri singhiozzi.
Ci vogliono dei mesi prima di abituarsi a queste sorprese notturne. Romussi non poteva dormire che con dei narcotici. Gli sbatacchiamenti gli davano sui nervi. Il secondo giorno fu più triste.
La loro vita era piuttosto agitata. Si alzavano, alla mattina, mezz'ora prima dell'alba e ciascheduno nella propria cella, dopo il caffè, si metteva al lavoro. Turati aveva sempre un mucchio di lettere da scrivere e un numero infinito di Riviste da leggere; Romussi, il quale sdrucciolava dal letto sempre di buon umore, era sommerso nelle opere di Carlo Cattaneo, del quale stava facendo uno studio; De Andreis, l'uomo che non pensava mai alla condanna, aveva del lavoro fin sopra i capelli. Leggeva dei poeti inglesi, tedeschi e francesi -tre lingue ch'egli deve sapere benissimo studiava o piuttosto correggeva il suo latino con lo Schultz alla mano e dedicava parecchie ore a un lavoro di elettricit
Il Romussi faceva pratica d'avvocato ed accettava volentieri di passare a teatro le serate come critico d'arte. Moneta voleva qualcosa di più di un critico d'arte, ma per il momento si accontentava.
È un errore, aggiungeva il Turati, credere che si possa lavorare serenamente in queste condizioni, quando si manca di tutto, quando si deve vivere in un buco ove si soffoca d'estate e si gela d'inverno, con venticinque centesimi al giorno! Romussi metteva sul tappeto la questione del viaggio.
Tra la folla degli avvocati accorsi a dare l'ultimo addio ai condannati, si distingueva il Majno che camminava con l'ombrello in una mano e il cappello nell'altra, salutando dappertutto: «Addio, Chiesi, ciao, Federici, coraggio, Romussi, sta allegro, Valera, arrivederci presto, don Davide, ecc.» Nei suoi addii era lo strazio di un avvocato e di un amico reso impotente dalla legge marziale.
Un giorno, in cui il pensiero di Moneta era lontano le mille miglia dal redattore che gli doveva mandare il Marenco, si sentì annunciare il dottor Carlo Romussi. Passi. Fiscamente non gli fece una grande impressione. Non gli si era presentato che un omino il quale non lasciava supporre in sè tanta resistenza al lavoro. In due parole s'intesero.
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