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Aggiornato: 29 giugno 2025
Stanno raccolte intorno al fanciullo Roberto ombre di altri giovinetti soldati d’Italia, anch’essi offertisi volontariamente al sacrifizio. Non avevano chiesto di vivere, d’avere i loro felici diciassette anni in un’epoca nella quale all’uomo latino non fu posto che un solo dilemma: combattere fino allo stremo delle forze per vincere o per morire, o essere uno schiavo supino e vigliacco.
La fanciulla impallidiva, un cerchio nero le si formava sotto gli occhi; si decise a non farsi veder più. Si chiuse ogni sera per otto giorni nella sua stanza, fremente d'impazienza, soffocando i suoi lamenti.... Una sera Lulù entrò nella camera: Vuoi farmi un favore? le disse. Che desideri? Ho bisogno di scrivere un bigliettino. Roberto è solo, fuori il terrazzo. Va a fargli compagnia tu.
Egli non malediceva: non imprecava. Lo ritroveremo, a suo tempo. Roberto era entrato nella prigione con un solo pensiero: che ne sarebbe presto o tardi uscito, malgrado la condanna a vita, malgrado tutte le sentinelle, destinate a vegliar su di lui, malgrado tutti i rigori e sarebbe tornato in Napoli, e magari a Mondrone, a esercitare le sue vendette.
Composero con Roberto che egli sarebbe partito cinque o sei giorni dopo per non destare sospetti. Anche Lina era impaziente di giungere a Firenze per darsi attorno a provar l'innocenza di Nello.
Odoardo Selmi era soddisfattissimo della buona impressione prodotta dal suo amico sul personale della miniera, e sussurrava nell'orecchio a Roberto fregandosi le mani. Ti vedo gi
Torni a Venezia? domandò il conte Roberto. Filippo sussultò in modo, che il vecchio si mise a ridere. A che pensavi? disse. L'altro si passò una mano sul viso come trasognato. Erano tutti in piedi, al finir del banchetto. Si fece un gran silenzio: i Sovrani si congedavano; e a Umberto piacque salutare affettuosamente il conte Roberto Vagli.
Era la signora Osnaldi in persona, la quale lo avvertiva esserci in vestibolo un fattorino del telegrafo che chiedeva di lui. Roberto dovette subito andar a vedere di che si trattasse. C'era infatti un telegrafista, che, non avendolo trovato a casa, gli portava presso gli Osnaldi un dispaccio.
L'ingegnere Arconti dovette di buona o di mala voglia ricorrere al guardaroba dell'amico Selmi. Indossò un vestito unto e bisunto, calzò un paio di stivaloni inzaccherati di fango, e si acconciò in testa un cappellaccio che aveva perduta la forma e il colore primitivo. Inoltre Roberto, quantunque non fosse nè piccolo, nè esile di persona, non poteva gareggiare col Selmi nella magnitudine delle forme, onde la giubba gli era troppo ampia, i calzoni troppo lunghi, gli stivali e il cappello troppo larghi. Avrebbe riso del suo aspetto grottesco se il suo sucido abbigliamento non avesse offeso ad un tempo le suscettivit
Vi manda Roberto con molta mano di truppa e di scorte. Cosenza, Bisignano, Malvito, Gerace e Martorano sono prese. Poco di poi, in Puglia il conte Umfredo muore. Dal suo letto supremo chiama Roberto, facendo cenno della mano ad un frate, che apprestavagli la comunione, di attendere ancora un istante. « Fratello caro » a Roberto egli parlò « quanto amore io ti abbia posto tu lo sai.
Filippo, inchinandosi profondamente, si chiese perchè lo presentassero al Re e perchè egli fosse un bravo giovane; forse non per altro, se non perchè nipote del conte Roberto.
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