Vietnam or Thailand ? Vote for the TOP Country of the Week !

Aggiornato: 14 giugno 2025


Disegnava galeotti, secondini, reclusi, frontoni del reclusorio, compagni di camerata. Copiava danzatrici, madonne, bimbi, uomini illustri, donne celebri, quello che trovava nelle riviste e nei libri illustrati. Con la tenacia del volere è potere, dell'uomo che vuol riuscire ad ogni costo, la sua matita faceva progressi meravigliosi.

Gli ultimi tre erano giunti dal reclusorio di Finalborgo e i due deputati erano ancora sbalorditi dai dodici anni di reclusione che aveva inflitto loro il Tribunale militare.

E se le quattordici dame, che pur tenevano ai loro servizi ciascuna le sue cameriere, rappresentavano l’undecima parte delle ricoverate in quel Reclusorio, quante saranno state le civili, maritate o vedove, che per le medesime ragioni vi convivevano?

A mezzogiorno erano nel reclusorio il prefetto d'Albenga e il sindaco di Finalborgo. Il prefetto parlava loro con grazia. Incominciava i suoi piccoli discorsi così: Poveri sventurati! Ma li terminava dicendo loro che aveva pieni poteri civili e militari. Se non farete silenzio, mi varrò di questi diritti. Fu come una dichiarazione di guerra. Gli occhi dei forzati erano illuminati dalla vendetta.

Egli vi era andato preceduto dalla fama di direttore «severissimo», d'un direttore, per esprimermi con la frase di un forzato, che terrorizzava con una disciplina di ferro. Direttore di un reclusorio, egli voleva che imperasse il silenzio assoluto. Il guaio era che gli inquilini di questo bagno penale come lo si chiamava mava prima erano misti: cioè erano reclusi e forzati.

Mancherebbe che ci fosse anche il permesso della sigaretta per far diventare il reclusorio uno spaccio di tabacchi. Il direttore era stato in tutte le camerate a fare una specie di predicozzo sui doveri del condannato e a incoraggiare i reclusi a sperare nella grazia sovrana.

Il direttore lo aveva destinato per il reclusorio di Finalmarina. Trovò modo di venirci a salutare. Strinse la mano a ciascuno di noi con la voce che tremava. Addio, si ricordino di me, del povero barbiere pentito del suo fallo. E lo sentimmo che si allontanava col singhiozzo che egli tentava di soffocare nel fazzoletto a quadrettoni. Il condannato in traduzione.

Al passeggio non parlavamo che di ammalati, di medici e di infermieri. I miei compagni erano d'accordo che non c'è carcere o reclusorio o ergastolo che abbia un'infermeria che s'avvicini a quella delle persone libere di due o tre secoli sono. È un'infermeria a celle o a stanzoni che passa sopra qualsiasi precauzione. Quella a celle deve essere preferibile. Illusione!

Una volta entrati, si è sommersi nella penombra anche col sole allo zenit, perchè non ci sono finestre alle pareti dei fianchi. La cella era più angusta e più nauseosa di quella che mi aveva condotto nel reclusorio. Col sedile di legno e con le pareti insudiciate di sputacchi e di mucillaggine nasale, mi sentivo in una cassa da morto in piedi, con un traversino sotto il sedere.

Ciò avveniva nei primi di giugno del 1799. Pochi appresso (18 giugno) partiva dal R. Palazzo una severissima lettera ai signori Capitani, Giudici e Fiscali di Sicilia del seguente tenore: «È pervenuta alla notizia del Re che siasi adottata dalle dame e da altre donne l’uso delle parrucche, e che talune per uniformarsi vieppiù ai sistemi repubblicani son giunte tant’oltre che fino anche si son rasi intieramente i capelli trasformandosi in tal guisa notabilmente. S. M. ha risoluto perciò che si proibisca affatto l’uso delle parrucche alle donne sotto la pena della carcerazione, e per le dame in un monastero o reclusorio che S. M. giudicher

Parola Del Giorno

chete

Altri Alla Ricerca