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Aggiornato: 6 settembre 2025
POPPEA Sí; per me il sei: né in te potrebbe altro timor; tu tremi, che il popolar furore in me non cada. Amar potresti, e non tremare? Il tuo stato mi è lieve argomentar dal mio. Del tuo periglio, e di tua immago io piena, e di me stessa immemore, ad un lampo di passeggiera pace, or non mi acqueto. Ai terror nostri io vo' dar fine, e trarre te d'ogni rischio, a costo mio.
Esci: e frattanto t'abbian tue stanze: va; ch'io piú non t'oda. NER. Poppea, te meglio, e il tuo Neron conosci. Ti acqueta; in calma ritorna; in me ti affida... POPPEA Altro non temo, che di morir non tua... NER. Deh! cessa. Insorto rapidamente è il rio tumulto, e ratto disperderassi: all'opra anch'io mi accingo. Secura sta: d'ogni tua ingiuria e danno vendicator me rivedrai, fra breve.
Ciò che al piú vil de' servi miei non vieta forza di legge, il susurrar del volgo fia che s'attenti oggi a Neron vietarlo? POPPEA Alto signor, sola mia vita; ingombro di cure ognora, e dal mio fianco lungi, me tieni in fera angoscia. E che? non fia, ch'io lieto mai del nostro amor ti vegga? NER. Lunge da te, Poppea, mi tien talvolta il nostro amor; null'altro mai.
Acquetare ogni tempesta del suo sbattuto cor, tu il puoi d'un detto, d'un sorriso, d'un guardo. Osai giurarle in nome tuo, che in te pensier non entra di abbandonarla mai; che ad alto fine, bench'io nol sappia, in Roma Ottavia appelli; ma non a danno di Poppea. NER. Tu il vero, fido interprete mio, per me giurasti. Ciò le giurai pur io; ma sorda stette. Che vaglion detti?
De' Claudj ultimo avanzo Ottavia, or suona in ogni bocca; il suo destin si piange in odio mio, non ch'ella s'ami: non cape in cor di plebe amore: ma all'insolente popolar licenza giova il fren rimembrar debile e lento di Claudio inetto, e sospirar pur sempre ciò che piú aver non puote. POPPEA È ver; tacersi, Roma nol sa; ma, e ch'altro omai sa Roma, che cinguettar? Dei tu temerne?
POPPEA Sí; ma frattanto un passeggiero lampo può di favor sforzato ella usurparsi. Ci abborre Ottavia entrambi: a cotant'ira qual ti fai scudo? il voler dubbio e frale di un tremante signore? A perder noi solo basta un istante; a noi che giova, se cader dobbiam pria, ch'ella poi cada? TIGEL. Che un balen di favore a lei lampeggi, nol temer, no: di Neron nostro il core ella trovar non sa.
POPPEA È tempo al fine, tempo è, Neron, ch'alto rimedio in opra da me si ponga, poiché sola io 'l tengo. Queta mai non sperar l'audace plebe, finch'io son teco. Ah! generosa prole, qual darle io pur di Cesari son presta, Roma or la sdegna. Alla prosapia infame di egizio schiavo un dí pervenga, è meglio, la imperial possanza.
Diede banchetti senza fine; invitò migliaia di patrizi, di senatori; allestì orgie infami; commise delitti nefandi, per appagare la propria sete di gaudio; si adirò con Poppea Sabina che portava sotto il petto il suo figlio e con un calcio la uccise; la fece poi imbalsamare, proclamare dea, e bruciare in onore di lei tanti incensi, quanti l'Arabia produce in un anno.
Lo avevano supplicato di cantare. Ed egli, finalmente, si era arreso ed aveva cantato, destando, più che entusiasmo, vero delirio. Quali applausi! Degni di lui, del vero Apollo. Lo avevano incoronato cantore massimo; lo avevano adorato come una rivelazione celeste; eppoi l'orgia era continuata. Le più belle fanciulle si erano gettate tra le sue braccia. E Poppea Sabina......... Gi
Cara ei ti tiene, perché a lui tante uccisíon costasti; ma se un periglio, anco leggier, gli costi, spento è l'amore. Allor mercede aspetta, quella, onde avaro mai Neron non fia; a chi piú l'ama piú crudel la morte. POPPEA Ecco Neron; prosiegui. SENECA Altro non bramo. NER. Perfido; ed osi al mio divieto?... POPPEA Ah! vieni; vieni, ed udrai...
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