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Aggiornato: 6 settembre 2025
La morte, è vero, io temo: eppur la bramo; e sospiroso il guardo a te, maestro del morire, io volgo. SENECA Deh!... pensa... Il cor mi squarci... Oimè!... OTTAV. Sottrarmi il puoi tu solo; dalla infamia almeno... L'infamia! or vedi, onde a me vien: Poppea bassi amori mi appone. SENECA Oh degna sposa di Neron fero!
Dissi; e dir m'importava. A me in risposta manderai poscia, a tuo grand'agio, morte. POPPEA Signor, deh! frena il furor tuo... NER. Tai detti scontar farotti in breve. Oh rabbia!... Oh ardire! Finché non giungon l'armi, io son quí dunque minor d'ogni uomo?
Crudel Neron, qual che tu sii, né posso cessar d'amarti, né arrossirne: immensa ben m'è vergogna in ver, rival nomarmi di Poppea: ma nol son; mai non ti amava costei: tuo grado, il trono, e quanto intorno ti sta, ciò tutto, e non Nerone ell'ama. NER. Perfida, or ora...
POPPEA E crede il popol stolto, ch'io la di lei pietá?... NER. Sempre arte, sempre? Non ferro mai? TIGEL. La men probabil cosa, vera talvolta al popol pare. O stanco fosse, o convinto, a queste varie voci, ei rattemprò di sua ribelle gioja il gran bollore in parte. Il dí frattanto si muore; e fian segnal funesto l'ombre di ragioni ben altre.
Oltre il confin del vasto impero tuo che non la mandi? esiglio, ove pur basti, qual piú securo? e qual deserta piaggia remota è sí, che t'allontani troppo da lei, che darsi il folle vanto ardisce d'averti dato il trono? NER. Or, finché tolto del tutto il poter nuocermi le venga, stanza piú assai per me secura ell'abbia Roma, e la reggia mia. POPPEA Che ascolto? In Roma Ottavia riede!
OTTAV. Poppea prezzar sa il trono, a cui non nacque: io seppi apprezzar te: né al paragon si attenti meco venirne ella in amarti. Ottiene ella il tuo cor; ma il merto io sola. NER. Amarmi, no, tu non puoi. OTTAV. Ch'io nol dovrei, di' meglio: ma dal tuo cor non giudicar del mio.
Iniqui voti intanto fare a tua posta puoi; spera, desia; giá giá si appressa anco il tuo dí. SENECA Lo aspetto. NER. E tu, fia questo il tuo trionfo estremo, godine pur; che breve... OTTAV. Il dí, ma tardo, anco verrá, che Ottavia a te fia nota. POPPEA Dimmi, o Nerone: al fianco tuo m'hai posto sul trono tu, perch'io bersaglio fossi alla insolenza del tuo popol vile?
Intimorirti a tempo e incoraggirti a tempo, a me s'aspetta. Guai, se vien tolto a te il timor del tutto! Al mal oprar qual piú ti resta impulso; qual freno allora al ben oprar ti resta? TIGEL. Signor, deh, perché dianzi non giungevi? Udito avresti il singhiozzar di donna, che troppo t'ama. Aspra battaglia han mosso nel cor tenero e fido di Poppea dubbio, temenza, amore.
TIGEL. Nol provocare a sdegno mai: tu molto puoi sul suo cor; ma, piú che amor, può in lui impeto d'ira, ebrezza di possanza, e fera sete di vendetta. Or vanne: meco in quest'ora ei favellar quí suole: ogni tua cura affida in me. POPPEA Ti giuro, se in ciò mi servi, che in favore e in possa nullo fia mai ch'appo Neron ti agguagli.
NER. Ai preghi del tuo consorte arrenditi; o i comandi del tuo signor rispetta. A me non puoi, neppur tu stessa, toglierti; né il puote umana forza, se il mio impero pria non m'è tolto, e la vita. POPPEA Credi, a salvarti, o a piú tempo acquistar, giovar può solo il mio partir: vuoi che sforzata io parta, mentre il posso buon grado?
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