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Tu mi rompi il capo, ora. Vatti con Dio. PASQUELLA. Non vuoi venire? LELIA. Non, dico: non m'intendi? PASQUELLA. In buona fede, in buona veritá, Fabio, Fabio, che tu sei troppo superbo. E sai che ti ricordo? che tu sei giovinetto e non conosci il ben tuo. Questo favore non ti durerá sempre, no.

FRULLA. Lasciate l'impaccio a me. PASQUELLA fante e FABRIZIO giovinetto. PASQUELLA. In buona , che eccolo. Avevo paura di non aver a cercar tutta questa terra prima ch'io 'l trovassi. Fabio, che tu sia il ben trovato. Ti venivo a cercare; tu m'hai tolto fatica. Amor mio, dice la padrona che, per una cosa ch'importa a te e a lei, che tu venga or ora a trovarla. Non so giá quel che si sia.

PASQUELLA. So ch'io sentivo dir cosí a lei. GHERARDO. Tu vuoi dire ipocrita, tu. PASQUELLA. Forse. Ma vi dico che sua figliuola sará ancor piú di lei. GHERARDO. Dio il voglia. VIRGINIO. Oh Gherardo, Gherardo! Questa è colei di che aviam ragionato. Oh scontento padre! Forse che si nasconde o che si fugge per avermi veduto? Accostiamoglici. GHERARDO. Vedi di non far errore, ché forse non è essa.

Piagne, si consuma, si strugge, ché stamattina non sei ancor passato da casa sua. LELIA. Oh! Che vuol ch'io ci passi innanzi giorno? PASQUELLA. Credo ch'ella vorrebbe che tu stesse con lei tutta la notte ancora, io. LELIA. Oh! Io ho da fare altro. A me bisogna servire il padrone; intendi, Pasquella? PASQUELLA. Oh! Io so ben che a tuo padron non faresti dispiacere a venirci, non.

PASQUELLA. La mia padrona è maritata; e questa sera faciam le nozze; e ho da far tanto ch'io non posso attendere. Aspetta a un'altra volta. Uh come son rincrescevoli! GIGLIO. Alla magnana, ah? Domattina, digo. Non es á si? PASQUELLA. Lascia fare a me; ché mi ricordarò di te, quando sará tempo; non dubitare. Uh! uh! uh! uhimene!

FLAMMINIO. Quanto ha che questo fu? PASQUELLA. Adesso, adesso, adesso. Poi mi mandorno, correndo, a dirlo a Clemenzia e a chiamarla. CLEMENZIA. Digli, Pasquella, ch'io starò poco poco a venire. Va'. LELIA. O Dio, quanto bene insieme mi dái! Io muoio d'allegrezza. PASQUELLA. Sta' poco, ché io ancora ho tanto da fare che guai a me! Voglio ire adesso a comprare certi lisci. Oh!

LELIA. Perché non gli mira, donque? E lasci star me che non me ne curo. PASQUELLA. Oh Dio! Gli è ben vero che i giovani non han tutto quel senno che gli bisognarebbe. LELIA. Orsú, Pasquella! Non mi predicar piú, ché tu fai peggio. PASQUELLA. Superbuzzo, superbuzzo, ti mancará questo fumo! Orsú, il mio Fabio caro, anima mia!

PASQUELLA. Io non credo che nel mondo si truovi il maggior affanno il maggior fastidio che servire, una mia pari, una giovane innamorata; e massimamente a quella che non ha d'aver timore di madre, di sorelle o d'altre persone, quale è questa padrona mia: che, da certi in qua, è intrata in tanta frega e in tanta smania d'amore che notte ha posa.

Ma bene il farete, . FABRIZIO. Eh madonna! Voi non mi conoscete. Andate, ché voi m'avete còlto in iscambio. PASQUELLA. Oh! Non l'aver per male, Fabio mio, ch'io 'l dico per farti bene. FABRIZIO. Io non ho per male niente; ma io non ho questo nome e non so' chi voi credete. PASQUELLA. Or fate pur fra voi due a vostro modo. Ma sai, figliuolo?

Io mi maravigliavo ben, io! Sará pur vero quello ch'io mi pensavo. Orsú! Perdonategli: che volete fare? In ogni modo, questa chiappola d'Isabella non vi volse mai bene. FLAMMINIO. Tu dici il vero. PASQUELLA, CLEMENZIA, FLAMMINIO, LELIA da femina e CRIVELLO. PASQUELLA. Lasciate fare a me: ché gli dirò quanto me avete detto, ché ho inteso. CLEMENZIA. Questo è, messer Flamminio, il vostro Fabio.