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È lui che chiama in aiuto la vostra «colomba», perchè ha bisogno di sapere o di comunicarvi una notizia, perchè i crampi del suo stomaco lo obbligano a cercarvi un tozzo della vostra pagnotta, perchè ha una voglia matta di accendere la pipa o il sigaro, o perchè desidera farvi leggere un giornale che gli è riuscito di avere per la via della via.

La direzione ci ha fatto comunicare che potevamo rimandarli a chi ce li aveva spediti o regalarli all'ospedale di Finalborgo. Non potendo mangiarli noi, abbiamo votato per gli ammalati. «Federici, ci tiene in piedi col suo cioccolatte. Non appena ci si porta la pagnotta, egli va da tutti con una tavoletta e li costringe ad accettarla.

Mancava ai piedi di mezzo braccio e bisognava addormentarsi sul fianco e con la faccia al muro, se non si voleva cadere sull'impiantito. Pane! Trasalimmo. Era un galeotto con la catena a parecchie maglie, accompagnato da una guardia, che andava di buco in buco a distribuire la pagnotta. Il pane regio come lo chiamavamo parve a tutti noi immangiabile.

Di fuori i nostri amici son pronti e noi accusano di neghittosi. L'esercito, meno la parte legata alla pagnotta, è tutto con noi. Le armi che aspettavamo, per distribuire al popolo, sono giunte e stanno in luogo sicuro. Di munizioni ne abbiamo più del bisogno. A che dunque tardare più oltre? Oual nuova occasione dobbiamo aspettare? Il nostro grido sia: "All'armi"...".

«Non è la prima volta che mangio la pagnotta, ma era un pezzo che non la sbocconcellavo. Me la hanno portata e mi sono ricordato degli ultimi tozzi di pane bianco che ho dato al recluso che ci porta il barile dell'acqua. Come sarebbero buoni, adesso! In un reclusorio non mi aspetto il pane di fantasia. Ma certamente mi aspetterei un pane migliore di questo. I cavalli ne mangiano del più buono.

È suonata la campana che annuncia la distribuzione del pane. I prigionieri la chiamano la «voce di Dio». È un minuto di raccoglimento. Le finestre diventano quelle di un edificio disabitato. Non si sente più un'anima. I detenuti sono all'uscio ad aspettare che si apra l'usciuolo con la parola che li invade di piacere: «Pane»! Il distributore che è uno scopino la ripete a ogni pagnotta che passa per il buco. Lo ricevo anch'io, ma lo passo, colombando, al delinquente vicino alla mia cella che ha sempre fame. È un ragazzo di diciassette anni, scolorato come un onanista, e gi

Il fluido nauseabondo vi sommerge come in un edificio coperto fino ai coppi di materie fecali. Credete di essere lasciato in pace ed ecco il delinquente che viene col secchione del latte a mescervene nella brocca cinque centesimi. Rimane chiuso per cinque minuti e poi si riapre per lasciar entrare il recluso con la pagnotta. Pane!

Mastico senza piacere come un automa. «I miei movimenti sono diventati lenti e faccio fatica a tener aperti gli occhi. Sono determinato a rifarmi con la pagnotta, ma la mia determinazione non val nulla dinanzi all'atonia dell'apparecchio digestivo. La forza digestiva è come interrotta. Ieri sera stavo facendo il letto e ho dovuto sedere sul materasso due volte. Mi sembravo vicino al deliquio.

Dovevamo aver fame, perchè eravamo ancora con l'ultima costoletta e l'ultimo risotto che avevamo mangiato al Castello. Romussi mi fece sapere che aveva divorata la sua pagnotta fino all'ultima briciola. Coi suoi denti da mastino e il suo apparecchio digestivo sempre in ordine, ne avrebbe mangiata un'altra. Gli altri la sbriciolarono. Minestra! Uh! sentii dire. Era un uh! che traduceva la nausea.

Non saprei del telefono se non ne avessi veduto l'apparecchio in Direzione, e ignorerei completamente la luce elettrica, se da qualche mese non ne fosse illuminato lo stabilimento. Pensate, sono vent'anni che non esco da questa casa. Venti anni che faccio le stesse scale, che percorro gli stessi corridoi, che incontro, si può dire, le stesse facce, che mangio la stessa pagnotta e la stessa minestra, che ubbidisco alle stesse voci e che mi alzo e mi corico al suono della stessa campana. Ho dimenticato la forma delle lettere. Non ne ricevo più da un secolo. Mia madre è morta e i pochi che mi scrivevano mi hanno seppellito nella loro memoria. E mi facevano tanto bene le lettere! Una lettera era un avvenimento che mi commoveva i nervi cerebrali in un modo straordinario. La tenevo nella mano trepidante e la leggevo per una settimana, piangendo, ricordando, facendo sogni di rivedere tutto ciò che avevo perduto, e poi, sazio, la mettevo con le altre e ricadevo nell'insensibilit