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Come, o signori, ma io sono un inquisito, sono una persona che deve essere creduta innocente fino all'ultima parola della Cassazione, e voi mi punite mettendomi in mano uno scopino disfatto e laido perchè mi scopi la cella, e voi mi obbligate, con le mie mani abituate ai guanti, a portare fuori e dentro la mia tana il vasone da notte come un latrinaio qualunque!

Tre o quattro giorni prima che andasse alla reclusione, il direttore, impressionato dal suo tormento, gli fece imbiancare il cellone e passare alle fiamme il letto di ferro. Ne ho trovate, ci diceva lo scopino incaricato di farli morire col fuoco, a nidiate. Morivano mandando un'odore pestilenziale che mi dava le vertigini.

Il coperchio del bugliolo bacia bene e questo vasone da notte rimane chiuso in un buco che ha l'apertura anche lungo il corridoio esterno. Lo scopino lo porta via e ve lo rimette senza annoiare i detenuti nella stanza. Acqua, vino, cibi vengono serviti dal buco dello sportellino.

Il compagno che l'ha presa ne stacca il sacchetto dalla funicella che viene ritirata, lo appende alla sua «colomba», se ne serve e lo lascia cadere dalla prima alla seconda finestra, ove sosta come accenditoio e riprende la discesa per fermarsi alla terza finestra dove avviene la stessa operazione di staccarlo da una «colomba» per attaccarlo a un'altra e gettarlo sullo scopino della finestra a fianco.

È suonata la campana che annuncia la distribuzione del pane. I prigionieri la chiamano la «voce di Dio». È un minuto di raccoglimento. Le finestre diventano quelle di un edificio disabitato. Non si sente più un'anima. I detenuti sono all'uscio ad aspettare che si apra l'usciuolo con la parola che li invade di piacere: «Pane»! Il distributore che è uno scopino la ripete a ogni pagnotta che passa per il buco. Lo ricevo anch'io, ma lo passo, colombando, al delinquente vicino alla mia cella che ha sempre fame. È un ragazzo di diciassette anni, scolorato come un onanista, e gi