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Ma guardate, messer Pietro, voi che siete così vago della bella natura; guardate com'è bene indorata dal sole quella vetta laggiù. Di' su, amico ostiere, come si chiama? È la roccia di Pertica, rispose mastro Bernardo. La è proprio a cavaliere del castello; notò il Picchiasodo. Io, per me, se fossi nei panni del Marchese, temerei sempre di vedermi cascare di lassù un genovese sulla groppa.

Il fatto era così straordinario che il buon ostiere si fregò gli occhi due o tre volte, prima di credere alla loro testimonianza. Era da anni ed anni che non aveva più visto il miracolo, che due carrozze in un giorno passassero per quel villaggio. La carrozza intanto aveva lasciato il trotto pel cominciare della salita, che a giri tortuosi menava alla spianatella dell'albergo.

Il povero ostiere, che era stato cagione di tutto quel guaio e si vedeva canzonato per giunta, alzò sdegnosamente le spalle e torse gli occhi da lui. Sta di buon animo, via! proseguì il Picchiasodo. Ho il tuo ricapito e fo conto di ritornare. Tienmene in serbo un fiasco di quest'ultimo, che abbiamo a bercelo tra noi due, ciaramellando da buoni compari sul gotto.

E quell'altro cocuzzolo sulla Caprazoppa? È la roccia dall'Aurèra. Mi pare di vederci un segno di strade. Strada romèa, messere; ma ora la è guasta per modo che nessuno più se ne giova. Per altro, a che servirebbe, lassù? Adagio a' ma' passi! gridò il Picchiasodo. Qui ti vien meno il tuo senno, degnissimo ostiere. Non mi dir male de' romani! Non c'eran che loro, per capir certe cose.

Il maestro allora lasciò i libri pel vino. Divenne ostiere. Lisa, dopo quattr'anni, anch'ella Spirò, mettendo al mondo una bambina bella Come un amore, e cui lasciò erede del nome. Nel mille ed ottocento settanta, colle chiome Che parevano d'oro, allegra e ben tornita Era la nuova Lisa la delizia e la vita Del padre, a cui la testa s'era fatta canuta.

L'impazienza rosolava mastro Bernardo, ben più che i carboni ardenti non rosolassero il pollo. Erano ambedue seduti sul murello dell'altana, quando l'ostiere comparve dall'abbaino, col suo piatto fumante tra mani. Picchiasodo fu il primo a vederlo, Degno ostiere! gridò egli, tirando dentro una gamba, che tenea cavalcioni sul muricciuolo. Tu hai fatto le cose alla spiccia.

Ne avrete fatto, di strada; disse l'ostiere, tornando a' suoi ospiti e cercando di ravviare la conversazione; ne avrete fatto molta, messeri, pervenire fin qua! Molta; rispose il Picchiasodo, colla bocca impacciata da un boccone più grosso degli altri. E.... se è lecito il chiedervi.... Ostiere! interruppe quell'altro, con piglio tra il burbero e il faceto.

Però le scale furono tratte al piè delle mura, prima che il bravo ostiere dell'Altino avesse il tempo di perdere la pazienza. Due di esse, legate insieme, raggiungevano a mala pena l'altezza del davanzale; ma il valentuomo non desiderava niente di più. Per contro, vedendosi aiutato dalla fortuna, alzò l'animo a cose più grandi. Gli veniva udito al primo piano del castello un insolito tramestìo.

La Gilda guardò meravigliata suo zio, per sincerarsi a' suoi atti se parlasse da senno, o non avesse per avventura dato il cervello a pigione. L'aria d'importanza ond'era impresso il volto di mastro Bernardo, faceva somigliare il bravo ostiere soldato ad uno del suoi tacchini, ingrassati pel Natale, quando gli faceano la ruota sull'aia.

Comandate, magnifici messeri! fu pronto a dir l'oste, a cui erano rivolte le ultime parole del Picchiasodo. C'è pane e cacio, uova da farne una frittata in un batter d'occhio, e se vi piace, posso anche ammannirvi un pollo allo spiedo.... Ottimo amico! Ostiere degno della mia stima e della mia pratica! gridò con burlesco fervore quell'altro.