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Aggiornato: 22 luglio 2025
SENECA Or, piú che pria, scabro a Neron fassi il versarlo. Hai tratto lustro ed onor donde sperò l'iniquo che infamia trar tu ne dovresti, e morte. Eucero stesso, benedire ei s'ode il suo morire.
Non del tuo trono, io sol di te fui presa, ahi lassa! e il sono: a me lusinga dolce era l'amor, non del signor del mondo, ma dell'amato mio Neron: se in parte a me ti togli; se in tuo cor sovrana, sola non regno, al tutto io cedo, al tutto io n'esco. Ahi lassa! dal mio cor potessi appien cosí strappar la immagin tua, come da te svellermi spero!...
Narrar vo' solo ad essi i miei tanti delitti: altro non chieggo: tanto impetrami; va. Dell'onta mia lieta a gioir venga Poppea; l'aspetto. SENECA E che vuoi far? OTTAV. Morir; sugli occhi loro. SENECA Che parli?... Oimè! tel vieterá, se il brami... OTTAV. E un sí gran dono da Neron vogl'io? Ad altri il chieggo; e spero...
TIGEL. Ottavia trarre potran piú tosto ove Agrippina, e Burro, e tanti, e tanti, andaro. A voler spenta la tua rival, lascia che all'odio antico nuovo timor nel core al sir si aggiunga. Ei non svelommi il suo pensier per anco; ma so, che nulla di Neron l'ingegno meglio assottiglia, che il timor suo immenso. Roma, Ottavia chiamando, Ottavia uccide.
Ciò far tu pria dovevi; da quel punto, in cui t'increbbi: eri men crudo assai nell'uccidermi allor, che in darti a donna, che amarti mai, volendo, nol sapria. Io ben potea tutto, o Neron, tranne il mio onor, donarti; per te soffrir, tranne l'infamia, tutto... Niun danno a te fia per tornarne, io spero,... dal... mio morire.
SENECA Signor del mondo, a te che manca? NER. Pace. SENECA L'avrai, se ad altri non la togli. NER. Intera l'avria Neron, se di abborrito nodo stato non fosse a Ottavia avvinto mai. SENECA Ma tu, de' Giulj il successor, del loro lustro e poter l'accrescitor saresti, senza la man di Ottavia?
Sua feritade accorta prevalse poscia; e il rio velen piombava all'infelice giovinetto in seno. Vana fu l'arte della madre; e il fio tosto ella stessa ne pagava. Allora di sangue in sangue errar vieppiú feroce Neron vedemmo. Ottavia or sola resta, freno a tal mostro; Ottavia, idol di Roma, e di Neron terrore. Ottavia togli; fa, ch'ei di te sia possessor tranquillo, sazio tosto il vedrai.
Or altra, ben altra accusa or ti s'aspetta; e il reo, non fra' martir, ma libero, e non chiesto, viene a mercé. OTTAV. Qual reo? Parla. TIGEL. Aniceto. SENECA D'Agrippina il carnefice! OTTAV. Che sento? TIGEL. Quei, che Neron d'alto periglio trasse: fido era allora al suo signor; tu, donna, traditor poscia il festi.
SENECA Bada, Neron; piú che ingannar, t'è lieve Roma atterrir: l'uno assai volte festi; l'altro non mai. NER. Ma, di te pur mi valsi ad ingannarla io spesso; e a ciò pur eri arrendevole tu... SENECA Colpevol spesso anch'io: ma in corte di Nerone io stava. NER. Vil servo... SENECA Il fui, finch'io mi tacqui; or sorge il dí, ch'io sciolgo a non piú intesi detti libera lingua.
OTTAV. Entro mie vene serpe giá un fero tosco... NER. E donde?... POPPEA Or mio davvero, Neron, tu sei. NER. Donde il velen?... Tu menti. TIGEL. Creder nol dei; severa guardia... SENECA E puossi deluder guardia; e il fu la tua. Gli Dei scampo ai giusti non niegano. OTTAV. Mi uccide il tosco in breve; e tu il vedrai: pietoso ecco chi 'l diede; anzi, a dir ver, gliel tolsi.
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