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Aggiornato: 10 giugno 2025


NER. Che udir? fra poco anch'egli la ragion stessa, che alla plebe appresto, udrá da me. Ma, oh rabbia! ancor non cessa il popolar tumulto: i preghi chiusa trovan la via: verrá tra breve il ferro, e sgombrerassi ampio sentiero. Acqueta l'alma, o Poppea: domani al ciel risorte tue immagini vedrai: nel fango stesso, ma d'atro sangue intriso, strascinate vedrai le altrui.

Bollente plebe affrontar, savio non è. Se giusta morte puoi darle, or perché vuoi che appaja vittima sol di tua assoluta voglia? De' suoi veri delitti in luce trarre il maggior, non fia 'l meglio? e rea chiarirla, qual ella è pur, mentre innocente tiensi? NER. Delitti... altri... maggiori?...

Ciò che al piú vil de' servi miei non vieta forza di legge, il susurrar del volgo fia che s'attenti oggi a Neron vietarlo? POPPEA Alto signor, sola mia vita; ingombro di cure ognora, e dal mio fianco lungi, me tieni in fera angoscia. E che? non fia, ch'io lieto mai del nostro amor ti vegga? NER. Lunge da te, Poppea, mi tien talvolta il nostro amor; null'altro mai.

La chioma bruna scende in molli anella Sul collo bianco e sul farsetto umile, Ha l'occhio grande e ner, parvenza snella, E il sorriso sul labbro giovanile, Mentre lo sguardo è gi

OTTAV. Poppea prezzar sa il trono, a cui non nacque: io seppi apprezzar te: al paragon si attenti meco venirne ella in amarti. Ottiene ella il tuo cor; ma il merto io sola. NER. Amarmi, no, tu non puoi. OTTAV. Ch'io nol dovrei, di' meglio: ma dal tuo cor non giudicar del mio.

Dissi; e dir m'importava. A me in risposta manderai poscia, a tuo grand'agio, morte. POPPEA Signor, deh! frena il furor tuo... NER. Tai detti scontar farotti in breve. Oh rabbia!... Oh ardire! Finché non giungon l'armi, io son quí dunque minor d'ogni uomo?

OTTAV. Gli Dei t'abbian mercé del prezíoso dono, opportuno a me tanto... Ecco... Nerone. A liberarmi... deh!... morte... ti... affretta. NER. Cagion funesta d'ogni affanno mio, dalle mie mani al fin chi ti sottragge? Chi per te grida omai? Dov'è la plebe?

Er fisico ce l'ha che je si presta; Ma si nun viè' co' me ner capannone, Si Dio guardi si stacca da un passone, Sarv'ognuno, c'è er caso che ce resta. Perché, capisce? nun si po' presume' Che senza di sapé' le miccherie Lei noti immezzo ar Tevere di fiume. Solo, da , cusì, nun j'ariesce. Ma lei si metta ne le mano mie Che dopo un mese nota come un pesce.

NER. Dimmi; tremavi quel , che tratto a necessaria morte il suo fratel cadeva? e il , che rea pronunziavi tu stesso la superba madre mia, che nemica erati fera, tremavi tu? SENECA Che ascolto io mai? l'infame giorno esecrando rimembrar tu ardisci?

Per sempre perder ti vo', per conservarti il core del popol tuo. NER. Ma che? mi credi?... POPPEA Ah! lascia: farti in tuo pro forza vogl'io: son ferma di abbandonare il trono tuo; sbandirmi di Roma; e, s'uopo fia, dal vasto impero. Sollievo a me, s'io pur merto sollievo, e s'io posso non tua restare in vita, bastante a me sollievo fia, l'averti, col mio partir, tolto ogni danno...

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