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Aggiornato: 10 giugno 2025
NER. Stromento giá di mia grandezza forse ell'era: ma, stromento de' miei danni fatta era poscia; e tal pur troppo ancora dopo il ripudio ell'è. La infida schiatta della vil plebe osa dolersen? osa pur mormorar del suo signor, dov'io il signor sono? Omai di Ottavia il nome, non che a grido innalzar, non pure udrassi sommessamente infra tremanti labra, mai profferire; o ch'io Neron non sono.
SENECA Signor del mondo, a te che manca? NER. Pace. SENECA L'avrai, se ad altri non la togli. NER. Intera l'avria Neron, se di abborrito nodo stato non fosse a Ottavia avvinto mai. SENECA Ma tu, de' Giulj il successor, del loro lustro e poter l'accrescitor saresti, senza la man di Ottavia?
NER. Che rechi, o Tigellin? favella. TIGEL. Vieppiú feroce la tempesta ferve: rimedio sol, resta il tuo senno. Appena ode la plebe, che un sovran comando Ottavia in Roma ha ricondotto, a gara chiede ogni uom di vederla. In te cangiato credono, stolti, il tuo primier consiglio: e v'ha chi accerta, che di nuovo accolta nel tuo talamo l'hai.
E lì ner mejo der combattimento De lotta a còrpo a còrpo davicino, Ecco Erìgo fuggenno come er vento; Guarda la posizione un momentino E strilla, dice; Addietro, sacramento!, Ché ve fregheno, addietro, Giovannino! Addietro, ché restate chiusi drento Prigionieri... De corsa!, giù ar casino!
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