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Aggiornato: 9 giugno 2025


Con buona pace del notaio, e dell’anima sua, imperocchè egli è di presente tra i più, io m’attengo ad una vecchia cronaca dei signori Del Carretto, la quale ci narra essere stata così battezzata la torre da Enrico il Guercio, che fiorì nel 1140, e fu contemporaneo di Ugo il Negromante, imperocchè quella torre, o castello, era una spina per lui, cioè un ostacolo all’accrescimento dei suoi dominii da quel lato.

Dovunche io mi volto, dalle angosce tanto circundata mi trovo che loco non vedo onde salvar mi possa. Ma ecco di qua la serva di Fulvia che con uno parla. Discosterommi fin che passa. FESSENIO servo, SAMIA serva. FESSENIO. In fine, che guai son questi? Di' . SAMIA. Naffe! Il demonio c'è intrato. FESSENIO. Come? SAMIA. Il negromante ha Lidio converso in donna. FESSENIO. Ah! ah! ah! ah!

55 Se fosse stata a quell'ostel d'Atlante, veduto con Gradasso andare errando l'avrebbe, con Ruggier, con Bradamante, e con Ferraù prima e con Orlando; ma poi che cacciò Astolfo il negromante col suono del corno orribile e mirando, Brandimarte tornò verso Parigi: ma non sapea gi

ATTILIO. Se tu non vuoi esser mio medico, sarò io tuo. Ti darò un recipe di venti pugna sul mustaccio e di trenta calci nelle reni. TRINCA. No, no. ATTILIO. So che con due parole tu puoi far miracoli. TRINCA. Non son negromante, che fo miracoli con le parole.

RUFFO negromante, FULVIA. RUFFO. Che c'è, madonna? FULVIA. Le lacrime mie, assai piú che le parole, mostrar ti possono la passion ch'io sento. RUFFO. Parla: che cosa è questa? Fulvia, non pianger. Madonna, che hai? FULVIA. Io non so, Ruffo, se o della ignoranzia mia o de l'inganno vostro doler mi devo. RUFFO. Ah madonna! Che è quel che tu di'?

Era questo il suo segreto, volea palesarlo. Cominciarono a riguardarlo come un po' fattucchiero e negromante: era pur ciò ch'egli voleva e che dovea agevolar la sua fuga. Sentiva quanto doveva approdargli che si supponesse, o si credesse, fosse in lui qualche forza misteriosa.

E la bestia stará tanto piú carica. FESSENIO servo, SAMIA serva. FESSENIO. Onde vieni? SAMIA. Da quel negromante a chi, per la strada di , ella poco fa mi mandò. FESSENIO. Che dic'egli? SAMIA. Che presto verrá da lei. FESSENIO. Eh! eh! eh! Che son bubole? Io vo a trovar Lidio per obedire a quanto madonna mi commise dianzi. SAMIA. È egli in casa? FESSENIO. . SAMIA. Che credi di lui?

Or si lamenta, or tace e fa il balordo, or ride, or piange, or ciancia fuor di modo e si rallegra e infuria; che talora ho meraviglia ch'un che pratica teco, in otto giorni, nol fai impazzir. Che che ancor ti veggio, un tratto, negromante? uomo composto di sciatiche e catarri e d'avarizia, d'ira e d'amore. GIRIFALCO. Abbimi compassione. Vedi pur com'io sto; lasciami alquanto sfogar, ch'io moro.

E tornerommene per la strada di dreto perché altri non mi veda, partendo da te, entrare in casa. Addio. LIDIO femina. Addio. LIDIO femina, FANNIO servo, RUFFO negromante. LIDIO femina. Hai tu udito, Fannio? FANNIO. ; e notato quel «come suoli». Certo, per altro sei còlto in iscambio. LIDIO femina. Cosí è vero. FANNIO. Sará bene avvertirne Ruffo che a punto a noi torna.

FESSENIO. Samia, questa cosa del negromante è pazzia. Se brami salvare la padrona, torna a casa e, con buon modo, leva de l'andito, se alcuno per sorte vi fusse. SAMIA. Farò quel che di'; ma guarda che la cosa non se ruini affatto. FESSENIO. Non temer. Va' via. LIDIO femina. Eimè!

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