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Aggiornato: 9 giugno 2025
Quella porta metteva alla torre del Negromante. Conte Ugo si fermò un tratto, depose la lucerna a terra e stette ad udire. Nessun rumore veniva di l
RUFFO. Non sta lá su la piazza? SAMIA. Ci son due passi. Andianne. RUFFO. Vattene innanzi ed io drieto a te ne vengo. Sarebbe mai costei nel numero dell'altre scempie a credere che io sia negromante e abbia quello spirito che molte sciocche dicano? Non posso errare ad intendere quel che la vuole. Ed in casa sua me n'entro prima che qui arrivi colui che in qua viene. FESSENIO servo, CALANDRO.
Lo scarmo viso fatto più pallido dal poc'anzi concepito spavento, la barbetta ed i capegli incolti, una zimaraccia nera che, sdruscita e rattoppata in più luoghi, sembrava scritta d'arabiche cifre, davano a Maestro Lucio il vero aspetto d'un negromante, e pareva che non gli mancasse che la magica bacchetta con cui toccando quel gran libro che gli stava allato far nascere incanti e prodigii. E ben può dirsi che a Falco passassero somiglianti idee pel capo, poichè appena si fu col
Io me ne vo a Fulvia e dirò che ará lo attento suo. FANNIO. Adunque, io sarò la serva. RUFFO. Ben sai. Siate in ordine quando a voi tornerò. FANNIO. In un tratto. Ben feci a trovare i panni ancor per me. RUFFO negromante, SAMIA serva. RUFFO. Sin qui la cosa va in modo che li cieli non me l'ariano potuta ordinar meglio. Se Samia è per di lá arrivata a casa, Fulvia deve aspettarmi.
Franchi sogghignando fissava il Gesuita, e tra sè diceva: «Negromante, mio se non m'inganno, oggi non si tratta di menar bottiglie, e non dispero d'una mano di bastonate, se non ti tocca di peggio;» ed il prete sembrava fra il rumore della folla capire il monologo ed il sogghigno dei Volontario e ne rabbrividiva sino nel fondo dell'anima sua perversa.
SAMIA. Subito che l'ho trovato. SAMIA serva, RUFFO negromante. SAMIA. Oh! oh! oh! Gran ventura! Ecco Ruffo. Contentiti el cielo. RUFFO. Che cerchi, Samia? SAMIA. Consumasi di sapere quello che hai fatto della faccenda sua. RUFFO. Credo si condurrá in porto. SAMIA. E quando? RUFFO. Verrò a dire a Fulvia il tutto. SAMIA. Tu stai pur troppo a far questa cosa.
Gli occhi d’Ugo, poi ch’ebbero avidamente contemplata quella scena stupenda di orrore notturno, corsero di muro in muro, di bastione in bastione, fino alla torre più in fondo, dalla parte del burrone, la torre del Negromante, che mostrava tratto tratto alla luce del temporale la sua alta merlatura e le sue svelte bertesche.
FULVIA. Fessenio mio, torna presto. FESSENIO. Cosí farò. FULVIA. Ahi infelice Fulvia! Se io cosí troppo sto, certo io me morirò! Misera! che far devo? SAMIA. Forse lo spirito lo moverá. FULVIA. Deh! Samia, poi che il negromante sta tanto a venire, torna a ritrovarlo. SAMIA. Cosí mi pare; e non ci voglio perder tempo. FULVIA. Raccomandagli questa cosa. E torna presto.
28 Tommi la vita, giovene, per Dio, dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto; ma quella a torla avea sì il cor restio, come quel di lasciarla avria diletto. La donna di sapere ebbe disio chi fosse il negromante, ed a che effetto edificasse in quel luogo selvaggio la rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
SAMIA. Entra presto, Ruffo, e va' da Fulvia lá in quella camera terrena; perché, su di sopra, è Calandro pecora. SAMIA serva, FESSENIO servo. SAMIA. Ove vai, Fessenio? FESSENIO. Alla padrona. SAMIA. Non puoi ora parlarli. FESSENIO. Perché? SAMIA. È col negromante. FESSENIO. Deh! lassami entrare. SAMIA. In fine, non si può. FESSENIO. Son tutte bubole. SAMIA. Bubole son le tua.
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