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Oh se tu fossi, figlio, quel ch'io ti prego ognor! CRISAULO. Non è in proposito. E poi fai 'l grande meco. ARTEMONA. Odi. Oh paradiso! Biat'a lor che v'andranno! CRISAULO. Io non ricerco i tuoi travagli. Dimmi se facesti di quella mia. ARTEMONA. , . Lasciami dire. Da poi ch'io ti trovai v'ho messo mano; e 'l dopo, in bel modo, feci a Lúcia, ridendo, cenno di voler parlarli.

PRUDENZIO. È il diavolo, a parlare con simili ignoranti che non comprendono i sensi delle litterali parole. Ma vacci, se Dio te guardi la grazia nostra; e dilli che venga subito, ché avemo da parlarli de cosa importante. MALFATTO. Volete che venga solo o accompagnato? PRUDENZIO. Come piacerá a lui. MALFATTO. E che volete? che dorma con voi? PRUDENZIO. E va', che tu sei una bestia! Ma odi.

SAMIA. Entra presto, Ruffo, e va' da Fulvia in quella camera terrena; perché, su di sopra, è Calandro pecora. SAMIA serva, FESSENIO servo. SAMIA. Ove vai, Fessenio? FESSENIO. Alla padrona. SAMIA. Non puoi ora parlarli. FESSENIO. Perché? SAMIA. È col negromante. FESSENIO. Deh! lassami entrare. SAMIA. In fine, non si può. FESSENIO. Son tutte bubole. SAMIA. Bubole son le tua.

Misera a me, che ho quel che cercai e trovato quel che non volea! onde, se lo spirito remedio non ci pone, de uccidermi sono disposta; perché manco amara è una voluntaria morte che una angosciosa vita. Ma ecco Ruffo. Presto saperrò se sperar o disperar mi debbo. Nissuno appare. Meglio è parlarli qui perché, in casa, le panche, le sedie, le casse, le finestre stimo che abbino li orecchi.