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Aggiornato: 16 giugno 2025
Io moro considerando quella valletta fra quei due pomi, oggetto di tutti i miei pensieri, nido dell'anima mia; or che saran l'altre cose che non si vedono? ALTILIA. Mangiate; non sète ancor sazio di mirarmi? GIACOMINO. Ancor non ho cominciato, perché non so da dove incominciare a rimirarvi.
47 Io son di tal valor, son di tal nerbo, ch'aver non déi d'andar di sotto a sdegno. Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo che fece d'ira, più che d'altro, segno, la donna, né rispose a quel superbo; ma tornò in capo al ponticel di legno, spronò il cavallo, e con la lancia d'oro venne a trovar quell'orgoglioso Moro.
44 Sia Vile agli altri, e da quel solo amata a cui di sé fece sì larga copia. Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata! trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia. Dunque esser può che non mi sia più grata? dunque io posso lasciar mia vita propia? Ah più tosto oggi manchino i dì miei, ch'io viva più, s'amar non debbo lei!
Quando compariva il Re moro, si faceva l'oscurit
Io vivo e veggio e odo; ma l'infinito contento che ho nell'alma mi accieca gli occhi, mi offusca i sensi e mi conturba l'intelletto, ché veggiando dormo, vivendo moro, ed essendo sordo e cieco odo e veggio. Ma se eri sepolta e morta, come or sei qui viva? o quello o questo è sogno. E se sei viva, come posso soffrir tant'allegrezza e non morire?
Quel re di Leone che, ferito in battaglia, macchiò di azzurro la scimitarra del moro nemico, era un antenato dei nostri giovanetti reali. Le teste d'Elisenda e d'Estebano dovevano esser state create per portar nimbo o corona; un'aura monarchica e serafica si condensava attorno le loro fronti come una gloria, e i cieli d'oro di Zurbaran si abbozzavano vagamente dietro lo spazio in cui respiravano.
108 Vi giunse un messagger del popul Moro, di molti che per Francia eran mandati a richiamare agli stendardi loro i capitani e i cavallier privati; perché l'imperator dai gigli d'oro gli avea gli alloggiamenti gi
Io venía dal mar di Amburgo su una bella caravella, quando i Mori ecco ci presero pur cosí tra pace e guerra. Nelle lor terre, per vendermi, mi portarono, a Salè; ma non fu Moro né Mora che un quattrin desse di me. Finalmente un can d'Ebreo mi degnava comperar: negra vita era la mia; mi trattava come un can. Pestar sempre il dí lo sparto, e la notte la cannella; una sbarra qui alla bocca, non gli avessi a mangiar quella. Manco mal che la mia buona padroncina mi donava tutti i giorni del pan bianco, di quel pan ch'essa mangiava. Dava a me quant'io chiedessi, e piú ancor che non chiedea: le piangeva io nelle braccia, ma non gi
Che ti porti dov'è colei che ti può dar salute e tòr d'angoscia. GIRIFALCO. Aimè! che sarò morto prima ch'io n'esca. PILASTRINO. Va'. Se non moro io in questo mezzo, sará forse troppo presto per te. GIRIFALCO. Non vorrei esser nato prima ch'esser cosí. PILASTRINO. Fai grande errore a dir tal cose. Oh! Se 'l sapesse Lúcia, e che direbbe de la tua incostanza?
Il Re moro indicava con la sua morte la fine del dramma; epperò quando lo vedeva apparire, Bruno gridava inquieto: Pap
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