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Aggiornato: 7 luglio 2025


Rivolgete i vostri occhi all'Italia! In quel momento, col suo calice levato, Don Pietro Toschi, parroco delle Vaie, sembrava Melchisedec, il re sacerdote, quando offriva l'olocausto all'Altissimo sovra il poggio di Salem. Gli astanti erano commossi; Gino Malatesti aveva le ciglia umide.

Chi lo avrebbe mai immaginato che ci fosse un carbonaro, in casa Malatesti!... E nel Quarantotto, poi, come hai fatto a tenerti in corpo il tuo segreto? Amavo la casa, illustrissimo; amavo i figli del mio padrone, che erano cresciuti così belli e fiorenti sotto i miei occhi. Ma anche tenendomi il segreto in corpo, come Ella dice, ho fatto quanto era in me, per servizio della buona causa.

Far presto e bene, avrebbe detto il signor commissario, è la grand'arte della vita. Ed io godo, vedendo la sua prontezza, signor conte Malatesti, godo nel pensare che questi esempi le vengono dall'alto. Gino Malatesti, per altro, non sapeva di aver fatto ben male, poichè tutto il carico dagli apparecchi era stato sopportato da suo fratello Aminta.

Il cugino Ruggero, l'Ercole adolescente, era partito per sempre; era un pretendente fallito, un'ombra dileguata. Ed anche per Gino Malatesti un'ombra era passata, alle falde del Cimone, ma per andarsi a dileguare nella val di Nievole.

Che il conte Malatesti abbia ragione. Prendiamo senza finta modestia quel che ci viene. Non è il valore, non è l'altezza della mente, che mi regala il nostro ospite, riconoscendo in me l'amore della patria. Oggi il culto dell'Italia nel segreto delle nostre case, o sulla vetta dei monti, lontano dal sospetto dei tiranni e dall'orecchio dei delatori; domani l'impeto della rivolta, il riconoscimento e l'alleanza delle libere volont

L'amore, che forse languiva, si ravvivò nell'anima di Gino Malatesti, battè l'ali sulla via dell'esilio con lui. Ah, quella donna! Se avesse sparsa una lagrima! Se almeno gli avesse fatto sapere quella cosa tanto naturale, tanto facile alle donne, come a tutte le creature deboli, e gliel'avesse scritta in due sole parole: «ho piantoCome lo avrebbe consolato, confortato a soffrire!

Il conte Malatesti è infatti un amico mio. Speriamo bene.

La mattina seguente capitò al palazzo Malatesti la marchesa Polissena. Veniva a vedere perchè la contessa sua figlia fosse partita così presto da teatro. Che diamine! Non si va via dallo spettacolo, quando esso è sul più bello. Ci sono dei doveri sociali anche nei divertimenti, ed occorrono ragioni assai forti per rinunziare alle commozioni artistiche di un passo a due.

Poi sospirò, il conte Jacopo, ed aggiunse: Così si preparano, nella gelosia dei servitori, le cadute dei legittimi padroni. Ma queste filosofiche considerazioni non avevano che fare col triste caso di Gino Malatesti, e il nostro povero giovanotto lasciò cadere il discorso.

Da quel giorno il nome di Gino Malatesti non fu più pronunziato alle Vaie. Al padre, che la esortava a dimenticare, l'animosa fanciulla rispose: Quello che ti ho promesso ho mantenuto; non ho pianto, non piangerò. Grande promessa! esclamò il signor Francesco. Amerei meglio vederti piangere.

Parola Del Giorno

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