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Aggiornato: 19 maggio 2025


GERASTO. Questa tua barba bianca m'ave ingannato. NARTICOFORO. La tua ciera m'ha detto la veritá. Mira faccia di boia! GERASTO. Mira faccia d'appiccato! stolto ignorante! NARTICOFORO. Mentiris per guttur! oh avessi la mia ferola, che ti vorrei far pentire di quanto hai detto. GERASTO. Ti risponderei con le mani, se avessi qui un bastone, e ti impararei la creanza.

ALTILIA. O caro mio padre, come m'avete abbandonata cosí sola e con tanto mio poco onore? ché, se non avesse avuta la mia balia meco, m'avreste trovata morta di dispiacere. PEDANTE. Ecco che non m'ave abbandonata l'opifera speme, che giá era per essalar l'anima! Tanto timor m'avea invaso d'averti smarrita che stimava mai piú vederti; or possedo quanto l'animo mio ha concupito.

FILACE. Vado. MANGONE. Filace è un gran custode, molto astuto e sospettoso, e teme insin delle mosche. Poi, gabbar me? son un tristo e son ruffiano bastavi questo, e son il maggior ruffiano di tutto il ruffianesmo. FILACE. Mangone, la camera è aperta e dentro non v'è alcuno. MANGONE. Oimè, che m'hai ucciso! FILACE. Come ucciso? MANGONE. Parli pietre, me n'hai dato una in testa che m'ave ucciso.

GERASTO. Di piú, ha portato un mostro in casa con dir ch'era Cintio suo figliuolo: io ho tenuto voi per pazzo, non conoscendovi; poi, m'ave inviato un giovane, che questi diceva mal di me: ed è stato cagion, penso, d'azzuffarci insieme. FACIO. Che si fará dunque delle mie vesti?

PELAMATTI. Tu potresti esser tesoriero del re, che non ti arei credito di un quadrino. PANURGO. Ancora non mi è stata fatta tanta ingiuria! PELAMATTI. Il maestro m'ave ordinato che consegni queste vesti al padrone, non che le butti via. In questa terra si fan delle burle: veggio ch'hai la febre quartana d'averle nelle mani. Ma io perdo qui le parole.

Quel spaventevol mar, che a' naviganti promette l'Epicuro soave, solcai gran tempo in feste, gioie e canti, fin che la gola, il sonno e l'ozio m'ave travolto in bande ove d'acerbi pianti nel scoglio si fiaccò mia debol nave, che aperse a l'acque il fondo ed ogni sponda e 'n preda mi lasciò de' pesci a l'onda.

Ho arso e bruciato bensí, ma in quelli miei incendi ho trovato quello alleggiamento che m'ave apportato la speranza di aver presto a rivederla, sperando che quegli occhi che mi avevano aperto il fianco, quelli poi avessero a risanar le mie piaghe. E voi, cor mio, come l'avete passata?

GIACOCO. Arrássate dalla poteca de Giangilormo Spiccicaraso, ca m'ave arrapezzate le scarpe e le devo dare cinco tornisi, e me vole accosare. CAPPIO. Giá siamo gionti. GIACOCO. Tózzola la porta. CAPPIO. Tic toc, tic toc. GIACOCO. Quanto sta ad aprire sta madamma tráccola? Priesto, pettolosa mezzacammisa, che te puozze rompere lo cuollo pe ssi scalandruni!

Pregovi dunque che non mi comandiate ch'io facci cosí gran torto all'onor mio: considerate bene la dimanda che mi fate, e siate giudice di voi stesso. Vostra sorella m'ave assicurato che da voi non mi sará chiesto cosa che ad onestissimo amor non si convenga: mi volete parlare, ecco vi ubidisco; accettate dunque col mio buon volere tutto quello ch'io posso.

FILIGENIO. Se ben per i continui inganni che m'ave usato costui, non gli devo prestar fede, pur la vita di un figlio importa molto. Forca, tu che conosci costoro e sai questi maneggi, ricorro a te, mi pongo nelle tue mani; vorrei che rimediassi, ché non si procedesse piú oltre.

Parola Del Giorno

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